Pagine Romaniste
·10. Januar 2025
Pagine Romaniste
·10. Januar 2025
Franco Tancredi compie gli anni. Il leggendario portiere della Roma del secondo scudetto spegne 70 candeline. L’ex estremo difensore ha rilasciato un’intervista a La Gazzetta dello Sport.
Ecco le sue parole:
Raccontiamolo a tutti i bambini di oggi, chi è stato Franco Tancredi?
“Una persona umile che aveva un sogno e lo ha realizzato mettendoci tanto, tanto impegno. Come calciatore sono stato fortunato perché non ho mai avuto gravi infortuni e perché ho incontrato un maestro che mi ha lanciato nel grande calcio: Nils Liedholm a cui devo tutto. Mi ha insegnato tanto e ha avuto il coraggio di togliere Paolo Conti, dodicesimo in Nazionale, per far giocare nella Roma un ragazzo di 24 anni che aveva giocato solo nel Giulianova in C e nel Rimini in B”.
E che da quella porta non è più uscito, giocando 288 partite di cui 258 consecutive, secondo solo a Zoff con 332 di fila.
“Liedholm mi faceva giocare sempre anche quando non stavo bene, aggiungeteci che i cartellini rossi per i portieri erano rari, che c’erano meno partite e quindi non serviva il turnover e capirete perché certi “secondi” in panchina potevano passarci anni senza giocare quasi mai”.
Lei è ricordato anche come uno straordinario para rigori, anche per quello bisogna ringraziare Liedholm?
“Avevo una dote naturale, ma lui mi diede dei consigli, sul non muovermi, sul come tuffarmi. Io l’ho ripagato con due Coppe Italia vinte ai rigori contro il Torino, parandone tre nella prima finale e due nella seconda”.
Quali erano le sue doti principali?
Non ero alto, appena 176 centimetri, ma compensavo con freddezza, intuito e grandissima reattività tra i pali. L’altezza non mi favoriva nelle uscite, sui cross e calci d’angolo restavo più spesso sulla linea di porta. Ma sapevo giocare con i piedi e, palla a noi, tenevo molto alta la linea difensiva stando spesso fuori dai pali. In questo ero già all’epoca un portiere moderno. Ho avuto anche un grandissimo preparatore dei portieri: Roberto Negrisolo”.
Per ripercorrere la sua carriera ci vorrebbe un libro. Provi a scegliere i tre momenti più felici.
La prima Coppa Italia nel 1980 contro il Torino. Cominciò lì a nascere la grande Roma di Viola e Liedholm. Lo scudetto del 1983 che ci ha reso immortali, la festa del 30 maggio fu incredibile. L’orgoglio di aver vestito la maglia della Nazionale: fui titolare con Bearzot alle Olimpiadi di Los Angeles. A Bearzot è legato però anche un dolore ai Mondiali del Messico nel 1986: prima del torneo tenne a lungo sulla corda me e Galli alternandoci, poi preferì Giovanni, ma sinceramente meritavo di giocare io”.
Non me ne voglia se ricordo anche tre momenti tristi: il gol annullato a Turone con la Juve nel 1981; la Coppa dei Campioni persa all’Olimpico con il Liverpool nel 1984; lo scudetto buttato con il Lecce in casa nel 1986. Quale ferita ancora sanguina?
“La sconfitta con il Lecce è l’assurdo del calcio, ma la vera ferita che non si rimarginerà mai resta la sconfitta con il Liverpool. Sembrava la storia perfetta: si giocava a Roma, c’era un entusiasmo pazzesco, quella squadra bellissima avrebbe meritato di finire il suo ciclo con quel trionfo. Invece ci successe di tutto in negativo, a partire dal gol di Neal viziato da un fallo su di me. A noi mancava Maldera, uscì Pruzzo, si infortunò Cerezo… E finimmo ai rigori con pochi tiratori”.
Ma tutti pensarono: ora ci pensa Tancredi.
E invece mi spiazzarono tutti, ma il penultimo di Rush un “piattone” abbastanza centrale e non forte, quello avrei potuto prenderlo e non me lo perdono. E poi me lo lasci dire… viva Il Var!”.
Il Var?
“Col Var avrebbero annullato il gol di Neal e concesso quello di Turone e oggi avrei uno scudetto e una Coppa dei Campioni in più, le pare poco?”.
La magia tra voi ex compagni non è passata…
“Ci vediamo a cena un paio di volte al mese al ristorante di Antonio Di Carlo: serate bellissime, piene di affetto, ricordi e grande allegria. Ho riscoperto Pruzzo, che da giovane brontolava sempre e ora è diventato dolce, aperto e simpaticissimo. A cena ricordiamo anche chi ci ha lasciato e parliamo spesso di Di Bartolomei. Eravamo una squadra di giocatori ricchi di personalità, ma quando Agostino parlava tutti tacevano e lo stavano ad ascoltare: era il nostro capitano e ci manca molto”.
Esprima un desiderio per i suoi 70 anni?
“Mi basta l’affetto della mia famiglia. L’unico desiderio che ho è impossibile da realizzare”.
Qual è?
“Far ritirare quai maledetti rigori con il Liverpool. Sono certo che qualcuno stavolta lo parerei”.