Inter News 24
·24 January 2025
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·24 January 2025
Figlio di Armando, capitano della Grande Inter degli anni ’60, Leo Picchi oggi racconta a La Gazzetta dello Sport suo padre, scomparso giovanissimo, quando era allenatore della Juventus.
LA CONVINZIONE – «Mio padre era stato curato male quando è stato lasciato per precauzione a Sofia dopo quel brutto incidente in Nazionale».LA FRATTURA DEL BACINO – «In quell’ospedale all’epoca non avevano neanche la penicillina. Posso dire che il tumore che l’ha ucciso è stato riconosciuto di origine prostatica. Lo zio non aveva tutti i torti: era laureato in Farmacia, qualcosa aveva capito».LA MADRE – «Faceva la modella per “Grazia”. Era in copertina, abito e cappello rosa shocking: quando l’ha vista mio padre ha tirato il freno a mano, si è fermato all’edicola, ha comprato due o tre copie della rivista e ha deciso di cominciare a corteggiarla. Ha messo in moto le sue conoscenze per avere il numero di telefono. Lei abitava in un appartamento in via Pagano, a Milano, con le altre modelle, ma quando non doveva lavorare stava con i genitori. L’ha tempestata di telefonate. Lei non sapeva chi fosse e incaricava la sorella più piccola, Giusy, aveva 11 anni, di rispondere al telefono e dire che non c’era. Mio padre non si dava per vinto. Una specie di stalker».L’INCONTRO – «Alla fine lei disse “Vieni a chiedere ai miei genitori il permesso di frequentarmi”. Partì da Livorno con la Porsche amaranto, l’autostrada non c’era, per arrivare a Genova ci volevano quattro ore facendo il passo del Bracco. Scese dalla macchina zoppicando e i nonni dissero “Ma non vorrai mica sposare quello lì?”. Il vicino di casa, milanista, lo conosceva benissimo. Rise e spiegò che era un calciatore famoso».LA PORSCHE AMARANTO – «Era talmente scomoda che poco dopo papà è arrivato ad Appiano Gentile e l’ha regalata a Bedin. Aveva avuto a prezzo di favore una Jaguar grigia da Angelo Moratti dopo la Coppa dei Campioni del 1965. Si vantava di essere l’unico che aveva firmato un assegno al president
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