Calcio e Finanza
·29 January 2025
Calcio e Finanza
·29 January 2025
Dal libro “Balcanica” (2020) di Luciano Mondellini, edizioni Albatros
Questa sera il Milan di Sergio Conceiçao scenderà in campo a Zagabria contro la Dinamo, allenata da Fabio Cannavaro, per conquistare l’accesso diretto agli ottavi di finale della Champions League 2024/25.
Se sulla carta i valori tecnici sono totalmente a vantaggio di Leao e compagni, i rossoneri dovranno fare i conti con lo stadio Maksimir, impianto che ospita appunto le partite della Dinamo Zagabria e che può rivelarsi un fattore determinante in una partita da dentro e fuori. Infatti, se il Milan si gioca un piazzamento nelle prime otto, gli uomini di Cannavaro daranno tutto per centrare gli spareggi e per farlo gli serve una vittoria.
Lo stadio Maksimir, costruito nel 1912 e oggetto una importante ristrutturazione nel ’97, ha una capienza di oltre 35mila persone ed è una colonna portante della storia calcistica della Croazia, facendosi conoscere in tutto il mondo anche grazie alla partecipazione nelle competizioni europee della Dinamo Zagabria.
Il Maksimir è stato il teatro della rivalità calcistica, e non solo, fra Croazia e Serbia, soprattutto nel contesto della dissoluzione della Jugoslavia. Il 13 maggio 1990, durante la partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa, scoppiarono violenti scontri tra tifosi. La polizia, composta in gran parte da serbi, attaccò i sostenitori della Dinamo, innescando un caos che portò a centinaia di feriti e arresti. L’episodio divenne un simbolo della futura guerra d’indipendenza croata, tanto che una targa vicino allo stadio lo ricorda come la scintilla iniziale del conflitto.
Ma quella giornata fissò un altro momento iconico nella storia ultracentenaria del Maksimir. Durante gli scontri, alcuni giocatori della Dinamo rimasero feriti sul campo, mentre i calciatori della Stella Rossa riuscirono a rifugiarsi negli spogliatoi e a fuggire con un elicottero militare. Le riprese televisive rivelarono in particolare che, nel corso degli incidenti, il capitano della Dinamo Zagabria Zvonimir Boban (poi divenuto una stella del calcio mondiale con il Milan) sferrò un calcio a un agente di polizia che stava picchiando un sostenitore della sua squadra e si salvò dalla repressione dei militari tramite l’intervento di alcuni tifosi e dirigenti della Dinamo.
Il gesto ebbe una larga eco e Boban divenne per i croati una sorta di eroe nazionale, mentre i serbi lo bollarono come nazionalista. la Federcalcio jugoslava lo sospese per nove mesi e il centrocampista non poté partecipare ai mondiali di Italia ‘90 in una nazionale fortissima e piena di talento (Dragan Stoijković o Dejan Savićević, solo per citarne due che facevano parte di quella rosa).
Qualche anno più tardi l’agente aggredito (che risultò essere un musulmano bosniaco) perdonò pubblicamente il gesto di Boban. Mentre il calciatore commentando la propria reazione rivendicò con un certo orgoglio quel gesto: «Posso solo dire che ho reagito a una grande ingiustizia, così chiara che uno semplicemente non poteva rimanere indifferente e non reagire in nessun modo. Ci furono sicuramente anche da parte mia abbastanza provocazioni, prima che l’agente di polizia mi colpisse e io gli restituissi il colpo», spiegò il centrocampista croato.
Anni dopo, nella stagione 1999/00, la rivalità si riaccese nelle qualificazioni agli Europei tra Jugoslavia e Croazia. La partita d’andata a Belgrado fu segnata da insulti e un blackout che spaventò i giocatori croati. I calciatori in campo, del resto, non potevano saperlo e la squadra croata temette il peggio tanto che, come ha raccontato il difensore biancorosso Slaven Bilić, allora seduto in tribuna, per diversi minuti non si vide altro che i puntatori a infrarossi dei fucili dei cecchini.
Al ritorno a Zagabria, il match fu teso e provocatorio, considerando anche il fatto che si trattava di uno spareggio: agli jugoslavi bastava un pari, mentre i croati avevano necessariamente bisogno di una vittoria per qualificarsi. Stavolta furono i serbi e i montenegrini a essere fischiati, e l’atmosfera si arroventò subito anche in campo: il croato Robert Jarni affrontò a brutto muso il serbo Zoran Mirković dopo un contrasto. Questi, in tutta risposta, strizzò i testicoli all’avversario facendosi espellere. Ma soprattutto mentre si guadagnava la strada verso gli spogliatoi il terzino salutò la curva croato alzando al cielo le tre dita del saluto dei nazionalisti serbi, e innescando una vera e propria polveriera.
L’incontro terminò 2 a 2 e la Jugoslavia di Boškov e di un giovane Dejan Stanković, che segnò il 2 a 1 jugoslavo, si garantì la qualificazione a EURO 2000 in Belgio e Olanda. Mentre l’inutile gol finale croato fu segnato da Mario Stanić, croato nato a Sarajevo e che durante il bombardamento della capitale bosniaca a opera dei serbi era scappato dalla Bosnia in Croazia attraversando la Sava in gommone nei pressi di Slavonski Brod.
La qualificazione a un torneo di importanza internazionale rappresentò un successo sportivo importante per la Jugoslavia dopo i terribili anni Novanta e nella partita di Zagabria (decisiva per la qualificazione), secondo quanto spiegato dagli stessi calciatori negli anni successivi, l’esperienza internazionale e la sagacia tattica di Boškov furono fondamentali per il raggiungimento dell’obiettivo in un ambiente così ostile.