Marco Osio: «Sono stato il primo italiano a giocare in Brasile. Con l’Empoli segnai a Zenga, glielo avevo detto prima. Il Toro una seconda pelle, il Parma una big» | OneFootball

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·8 de enero de 2025

Marco Osio: «Sono stato il primo italiano a giocare in Brasile. Con l’Empoli segnai a Zenga, glielo avevo detto prima. Il Toro una seconda pelle, il Parma una big»

Imagen del artículo:Marco Osio: «Sono stato il primo italiano a giocare in Brasile. Con l’Empoli segnai a Zenga, glielo avevo detto prima. Il Toro una seconda pelle, il Parma una big»

Le parole di Marco Osio, ex calciatore, sulla sua carriera tra l’esperienza in Brasile e gli anni con le maglie di Empoli, Torino e Parma

Marco Osio ha avuto una carriera intensa, culminata nell’esperienza a Parma dove è stato molto amato e non priva di una puntata in Brasile che non è esagerato definire storica. Il Sindaco – lo chiamavano così in Emilia – ha rievocato il suo percorso su La Gazzetta dello Sport.

IL PRIMO ITALIANO IN BRASILE«Fine estate del 1995, avevo 29 anni. Avevo chiuso con il Torino in maniera turbolenta. Venivo da un infortunio, frattura di tibia e perone con lussazione della caviglia: un disastro. Ero stato fermo sei mesi e mezzo. Avevo bisogno di cambiare aria. Un giorno mi telefona il presidente della Parmalat in Brasile, Gianni Grisendi. Mi fa: Marco, ti va di venire al Palmeiras?».QUANTO CI HA MESSO A DIRE SI’«Meno di un minuto. La Parmalat, sponsor del Parma dove avevo giocato, in Brasile andava fortissimo e finanziava il Palmeiras. Sono partito con lo spirito di un ragazzino. Avevo voglia di scoprire un mondo nuovo».L’ESPERIENZA AL PALMEIRAS«Favolosa, una delle più belle della mia vita. In quella squadra c’erano Cafu e Rivaldo, l’ex Toro Luis Muller e Djalminha, Flavio Conceiçao e Luizao, c’era mezza Seleçao. Sono stato accolto benissimo, Cafu è diventato un fratello: mi chiamava El Niño, mi portava ovunque. Quell’anno abbiamo vinto il campionato paulista, quello regionale. Alla fine ho messo insieme 20 presenze e 1 gol, ho fatto la mia parte. Sono tornato in Italia solo perché la mia prima moglie, Federica, era incinta di Edoardo».GLI INIZI«Sono marchigiano di Ancona, quartiere Palombella. Famiglia media, che più media non si può: papà contabile di una ditta farmaceutica, mamma casalinga, un fratello, Rolando. Da ragazzino tifavo Juventus, l’idolo era Causio. Quando sono entrato nelle giovanili del Toro però ho capito da che parte stare. Il Toro ti entra dentro e non ti molla più».EMPOLI«Campionato 1986-87, la prima giornata: Empoli-Inter 1-0, a Firenze, campo neutro, perché al Castellani stavano facendo i lavori di ampliamento. Segno di testa a Zenga. Quell’estate l’avevo incrociato in discoteca, al Taunus di Numana. Lui era già Zenga, io un ragazzino alle prime armi. Beviamo insieme una cosa e gli faccio: quando ti incrocio la prossima volta ti faccio gol. Walter si mise a ridere, alla Zenga. Aveva ragione: l’Empoli era in B, venimmo promossi solo perché, causa Totonero, al Lanerossi Vicenza venne revocata la promozione. Lo scoprimmo in ritiro, dal Televideo, pensate. Quell’anno a Empoli segnai due gol fondamentali. L’altro all’ultima giornata, a Como, ci diede la salvezza».SEI ANNI A PARMA«Gli anni migliori. Che squadrone: Apolloni, Minotti, Melli, Asprilla, Brolin e Grun, il belga, aveva un’intelligenza tattica spaventosa. Ricordi da brividi: la Coppa Italia del 1992, la Coppa delle Coppe a Wembley, facevamo paura alle grandi».

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