Zerocinquantuno
·29 gennaio 2025
Zerocinquantuno
·29 gennaio 2025
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Provo sempre un ammirato rispetto nei confronti delle società sportive che si proiettano nel futuro senza dimenticare il proprio passato. Lo Sporting Lisbona, una macchia verde nel cielo azzurrissimo del Portogallo, è una di queste. Un grande murale col ritratto di José Alvalade campeggia su un lato dello stadio che ne porta il nome, stadio cui si accede attraverso dodici porte, ognuna recante la dedica a un giocatore che ha segnato la storia del club. Inutile girarci intorno: anche solo con Cristiano Ronaldo, venerato come un cimelio vivente, lo Sporting potrebbe far conoscere la propria maglia da qui all’eternità. Ma per fortuna la sua storia comincia ben prima dei sopraccigli rifiniti e dei piedi d’oro del numero 7 più famoso del mondo.
Fonte: facebook.com/SportingCP
Torniamo ad Alvalade, personaggio assai più interessante: suo nonno materno era Alfredo Augusto das Neves Holtreman, primo visconte di Alvalade, ricco proprietario terriero e avvocato stabilitosi a Lisbona per lavorare direttamente al servizio della famiglia reale. Interessato agli sport fin da giovane, José faceva parte di un’associazione sportiva a Campo Grande chiamata Campo Grande Foot ball Club, un’organizzazione dedita in prevalenza a feste, picnic e balli.
Fonte: sporting.pt
Nell’aprile 1906, inappagato per quel tipo di frivolezze, il rampollo ventunenne espresse il desiderio di formare un nuovo club. Un capriccio? Forse sì, ma il nonno decise di aiutarlo e si mise d’impegno per supervisionare personalmente la creazione del nuovo sodalizio, comprando i terreni, costruendo lo stadio e dandosi un nome ambizioso: Campo Grande Sporting Club. José Alvalade, insomma, fu sì il fondatore del futuro Sporting, ma a lui bisogna dare soprattutto il merito di aver convinto la sua munifica famiglia a scucire i denari necessari per avviare tale impresa, nonostante i suoi studi fallimentari in Medicina, abbandonati per la sua cronica incapacità di sostenere la vista del sangue.
Fonte: sporting.pt
Nel giugno 1910 Alvalade si fece nominare presidente, carica che mantenne per due anni. Solo altri sei ne sopravvisse prima di morire nel 1918, travolto dall’epidemia di febbre spagnola (che nonostante il nome colpì soprattutto due paesi: Italia e Portogallo). Nel DNA dello Sporting è comunque rimasto forte il legame con l’origine altolocata, contrapposta al tifo ‘proletario’ del Benfica. Anche il simbolo, che era in origine quello del conte Don Fernando de Castelo Branco, riflette il blasone dei primi fondatori: il colore bianco identificava al meglio «le chiare, decise intenzioni dei fondatori», mentre l’uso del verde si deve proprio al Visconte de Alvalade, che volle in quel modo esprimere la speranza nel felice cammino del club. Il motto era ed è ancora Esforço, Dedicação, Devoção e Glória! (‘sforzo, dedizione, devozione e gloria!’).
Fonte: static.vecteezy.com
Lo Sporting Clube de Portugal è stato quasi sempre allenato da portoghesi: i tecnici stranieri (come Bobby Robson e Giuseppe Materazzi) sono durati poco, per non dire nulla. Chiedere a Sinisa Mihajlovic, che riuscì a restare allenatore per soli dodici giorni, prima di vedersi stracciare il contratto per un improvviso cambio di presidenza. Ma è proprio grazie a quell’episodio se il Bologna ha potuto trovarlo libero nel 2019, quando serviva.
Fonte: sporting.pt
Luca Baccolini
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Foto copertina: -/Getty Images (via OneFootball)