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Calcio e Finanza

·11 gennaio 2025

De Siervo confermato AD: Lotito incassa un’altra sconfitta. È l’alba di una nuova era per il calcio italiano?

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La Lega Serie A con l’assemblea di ieri ha delineato per intero il governo che in teoria dovrebbe guidarla sino al 2028: dopo l’elezione del presidente Ezio Simonelli, infatti, ieri sono stati eletti Luigi De Siervo come amministratore delegato oltre ai quattro consiglieri di Lega e al consigliere indipendente. Qui di seguito la nuova struttura:

  • Ezio Simonelli, presidente;
  • Luigi De Siervo, amministratore delegato;
  • Claudio Fenucci (ad Bologna), Tommaso Giulini (presidente Cagliari), Luca Percassi (ad Atalanta) e Paolo Scaroni (presidente Milan): consiglieri;
  • Lamberto Tacoli: consigliere indipendente.

Limitandoci alle due figure apicali il nuovo il presidente Simonelli venne votato nell’assemblea del 20 dicembre scorso dalle 14 squadre del fronte delle big  e ha sostituito il lotitiano Lorenzo Casini.


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Invece per l’amministratore delegato l’assise dei presidenti della Serie A ha scelto la continuità: De Siervo, il manager uscente in quella posizione dal 2018, ha conservato il suo scranno sostenuto anche qui dal fronte delle big e sconfiggendo l’ipotesi Nicola Maccanico, candidatura sorta all’ultimo momento e supportata dalla fazione facente capo a Claudio Lotito e a Aurelio De Laurentiis.

Il tandem composto dal patron della Lazio e da quello del Napoli è quindi andato incontro a una doppia sconfitta sonante in questo snodo cruciale della stanza di comando del calcio di Serie A (terza se si considera anche la prossima elezione da parte delle massima serie di Gabriele Gravina nel ruolo di presidente federale).

E, secondo numerosi osservatori, questo potrebbe essere visto come l’alba di una nuova era all’interno del nostro massimo campionato.

Quel che è certo è che non è un caso se De Siervo ha ottenuto i voti delle società che prima avevano candidato Gravina quale presidente delle FIGC (l’elezione sarà il 3 febbraio ma il numero uno uscente è il candidato unico) e poi la nomina di Simonelli a presidente di Lega. E queste sono:

  1. Atalanta;
  2. Bologna;
  3. Cagliari;
  4. Como;
  5. Fiorentina;
  6. Genoa;
  7. Inter;
  8. Juventus;
  9. Lecce;
  10. Milan;
  11. Monza;
  12. Parma;
  13. Roma;
  14. Udinese;
  15. Venezia.

La vittoria di De Siervo, oltre a premiare ovviamente il lavoro svolto dal manager dalla sua insediatura nel 2018, come più volte spiegato su queste pagine, ha avuto anche quello della continuità: numerosi club hanno scelto di non rivoluzionare in toto i vertici della organizzazione dopo avere eletto un nuovo presidente preferendo non modificare l’altro vertice apicale. D’altronde, seppur tra non poche difficoltà, va riconosciuto al manager toscano di essere riuscito a tenere dritta la barca in termini di ricavi per la Lega soprattutto sul fronte dei diritti tv (considerando le problematiche delle emittenti e in generale del calcio italiano, si è rimasti comunque sopra i 900 milioni di euro annui limitando le perdite per i club) ma anche in termini di sponsorizzazioni, con la crescita delle cifre nelle ultime stagioni. Oltre all’ingente sforzo sul fronte della battaglia contro la pirateria audiovisiva, con l’arrivo nell’ultimo anno della nuova legge e dell’utilizzo di Piracy Shield.

Tornando invece al valore politico della conferma di De Siervo va notato come la permanenza dell’ad uscente abbia significato una debacle ancora più pesante per la fazione Lotito-De Laurentiis.

Questo perché originariamente il piano di questa parte dei presidenti di Serie A prevedeva di eliminare la figura dell’amministratore delegato e di dare maggiori poteri operativi a quella del presidente. L’idea poi era che, al di sotto della figura potenziata potenziata del presidente, vi sarebbero dovuti essere due direttori generali (uno sul lato sportivo e l’altro su quello corporate) per gestire l’amministrazione. Il piano però, dopo essere stato sondato tra i vari proprietari di club, è andato presto nel dimenticatoio. Un po’ per scarso interesse, un po’ per i motivi di cui sopra (continuità di lavoro con le gestioni passate e apprezzamento dell’operato di De Siervo), un po’ perché la battaglia sul presidente è stata talmente aspra che ha tolto interesse e tempo alle altre questioni.

Ora i nuovi vertici dovranno guidare la Lega Serie A sino almeno al 2028 ed è ovvio che in questo lasso di tempo ci saranno diverse sfide in vista: servirà soprattutto un lavoro politico, visto che la priorità in generale è un maggiore riconoscimento dal Governo del ruolo del calcio. E in questo quadro i temi sono molti: si va dallo scottante tema sugli stadi fino a quelli fiscali passando per il tema scommesse e anche la pirateria audiovisiva. E su quest’ultima questione, poi, si dovranno gettare le basi anche per la prossima asta per i diritti tv del campionato, considerando che l’attuale accordo con DAZN e Sky scadrà nel 2029.

Lo scontro sull’elezione di Simonelli

Questo quadro però, come si diceva all’inizio, è valido solo in teoria e va preso con il condizionale. Perché Lotito si è palesato quale persona di abilità straordinarie in questo anni dimostrandolo sia alla Lazio sia nelle istituzioni calcistiche. Nello specifico il patron biancoceleste non ha voluto darsi per vinto e ha cercato di dare battaglia in particolare sulla nomina di Simonelli. Insieme a De Laurentiis i due specificamente hanno contestato la candidabilità del nuovo numero uno del massimo campionato italiano per i tanti incarichi professionali, non solo all’interno della Fininvest della dinastia Berlusconi (il gruppo a cui fa capo il Monza), ma anche per altri possibili legami indiretti con i club.

E quindi l’elezione di Simonelli è stata impugnata in sede ordinaria dinnanzi al Tribunale di Milano e tra i firmatari figura Gaetano Blandini, consigliere indipendente della Lega Serie A ed ex direttore della SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori), storicamente vicino a Salvo Nastasi e Franceschini, dal cui ministero proveniva anche l’ex presidente della Lega Serie A Lorenzo Casini. Il ricorso aveva l’obiettivo di sospendere la nomina di Simonelli prima della Supercoppa, e allora in Arabia da presidente si sarebbe presentato Casini, ma la cautelare non è stata concessa.

La fazione delle big, sull’altra sponda, si dice tranquilla sul tema anche perché secondo quanto svelato da Calcio e Finanza il ricorso non è stato accolto. Come confermato poi dallo stesso Simonelli in conferenza stampa: «La mia elezione era stata un po’ inquinata da un procedura inesistente, il Tribunale ha attestato che tutto fosse conforme alla legge».

La speranza della fazione lotitiana era quella di avere invece un pronunciamento favorevole già ieri, tanto che non a caso il patron della Lazio sarebbe arrivato a Milano in compagnia proprio di Casini, per poterlo riportare in assemblea forte della decisione del Tribunale. Che, tuttavia, ha respinto il ricorso, smontando così il piano di Lotito.

Quel che è certo è che nel mentre la Lega Serie A è impegnata nelle sue battaglie interne, il lavoro da fare per cercare di migliorare il prodoto calcio italiano certamente non manca. La Supercoppa italiana, andata in scena a inizio anno in Arabia Saudita, ha dato un esempio plastico di quanto ancora ci sia da lavorare.

La manifestazione aveva tra gli altri anche il compito di promuovere il calcio italiano all’estero, forte della presenza in questa edizione delle tre big storiche del nostro calcio (Inter, Juventus e Milan) oltre che dell’Atalanta, vincitrice dell’ultima Europa League. E molto in questo quadro è stato compiuto soprattutto nell’ambito della promozione del nostro movimento in un Paese che sta investendo molto nello sport.

Il tutto, sia evidenziato a chiare lettere, senza volerci addentrare nelle giustificatissime obiezioni di carattere etico già spiegate più volte su queste pagine, sul tema di negoziare con una nazione che di sicuro non è esemplare sul tema dei diritti di genere o di quelli civili.

Questo spiegato, sebbene i vertici della Serie A si siano detti notevolmente soddisfatti della spedizione in Arabia, non si può nascondere però che il confronto con la Supercoppa spagnola, andata in scena anch’essa nello stesso Paese del Golfo qualche giorno più tardi, sia stato ancora una volta impietoso.

I numeri: così la Supercoppa spagnola vale il doppio di quella italiana

Entrando nello specifico, si noti il valore dei due contratti che la Lega Serie A e la federcalcio Spagnola hanno stipulato con gli organizzatori sauditi.

Per la Supercoppa italiana il valore dell’intesa con l’Arabia è stato pari a 23 milioni di euro (a cui sommare quota diritti tv e sponsor), per quella spagnola quasi il doppio, cioé 40 milioni di euro.

Nello specifico il montepremi della Supercoppa italiana era il seguente:

  • premio semifinaliste perdenti: 2,4 milioni di euro;
  • premio finalista perdente: 6,7 milioni di euro;
  • premio finalista vincente: 9,5 milioni di euro più 1,5 milioni in caso di disputa di un’amichevole con squadra locale (totale: 11 milioni di euro);
  • quota da distribuire agli altri club: 2,3 milioni di euro;
  • quota Lega Serie A, tasse e commissioni: 4,5 milioni di euro.

Invece in quella spagnola le quote di partenza per i club dipendevano da risultati sportivi, spettatori e valore dei club partecipanti:

  • premio Maiorca: 1,15 milioni di euro;
  • premio Athletic Bilbao: 1,5 milioni di euro;
  • premio Real Madrid: 5,8 milioni di euro;
  • premio Barcellona: 5,8 milioni di euro.

Nello specifico Barcellona e Real Madrid avevano diritto a un fisso di 6 milioni ciascuna, ma hanno deciso di devolvere 200mila euro a testa al Maiorca per riequilibrare in parte le quote di partenza. I due colossi sono scesi così a 5,8 milioni e il Maiorca è passato a 1,15 milioni (750mila euro di partenza, più 400mila euro dalle due big).

In aggiunta a questa prima suddivisione la manifestazione iberica ha previsto:

  • premio semifinaliste perdenti: 800mila euro;
  • premio finalista perdente: 1 milione di euro;
  • premio finalista vincente: 2 milioni di euro.

La quota restante, poco meno di 20 milioni di euro, sarà ripartita tra le componenti della cosiddetta “piramide del futbòl”, ovverosia la Federcalcio spagnola e il calcio di base.

Insomma, per farla breve, la Supercoppa spagnola è valsa quasi il doppio di quella italiana.

È evidente quindi che il lavoro è ancora molto da fare da parte della Serie A. Perché se è vero che potere mettere sul piatto nomi quali, tra gli altri, Mbappé, Bellingham, Vinicius, Lewandowski, Lamine Yamal, Pedri, (e quest’anno anche Nico Williams) dà a La Liga un notevolissimo vantaggio commerciale nei confronti della Serie A (che al massimo può oppore Lautaro Martinez, Leao o Vlahovic), nello stesso tempo è vero che un gap di valore delle due manifestazioni nell’intorno del doppio è impressionante, nonostante l’inversione di tendenza a cui stiamo assistendo nelle ultime stagioni.

Non solo, ma in prospettiva c’è un problema in più. Il quotidiano La Repubblica ha svelato, e sinora nessuno ha smentito, che l’Arabia Saudita ha dato tempo sino a fine marzo per decidere se ospitare anche la prossima edizione della Supercoppa italiana. Per quella data in particolare i sauditi, che hanno diritto di ospitare due delle prossime quattro edizioni del torneo, contano di potere prevedere con ragionevole certezza se almeno due fra JuventusInter e Milan saranno fra le quattro partecipanti nel gennaio 2026. Questo perché le ultime due edizioni organizzate in Arabia hanno dato un verdetto chiaro: al pubblico locale interessano solo le tre squadre più titolate. L’evidenza ha mostrato per esempio che la semifinale NapoliFiorentina un anno fa si giocò in uno stadio pieno solo per un quinto, e anche per Inter–Atalanta di questa edizione almeno 10 mila dei 25mila posti dello stadio Al-Awwal Park erano vuoti.

In questo quadro è evidente che La Liga ha un vantaggio in più: in Spagna è molto più probabile che Real Madrid e Barcellona terminino il campionato tra le prime due o giungano alla finale di Copa del Rey quindi soddisfando i desiderata dei sauditi. In Italia invece è più complicato prevedere chi possa qualificarsi per la Supercoppa. Prova ne sia che nell’edizione 2023/24 delle tre big era presente soltanto l’Inter e che stante la stagione in corso non sarebbe sorprendente che tramite il campionato si possano qualificare Atalanta e Napoli.

Lotito e i controlli sui capitali stranieri

Nota a margine: Lotito ha rilasciato una bella e lunga intervista a Il Messaggero nella quale ha parlato non solo di Lazio (che non ha intenzione di cedere perché la vuole lasciare al figlio Enrico) ma anche di vari temi del calcio italiano. Partendo dall’annotazione che se il Verona dovesse passare da Setti al fondo USA Presidio Investors, per la prima volta in Serie A le società con proprietà straniera sarebbero numericamente la maggioranza. In particolare su questo punto il patron biancoceleste ha spiegato di «essere riluttante all’ingresso dei fondi perché puntano solo alla massimizzazione dei ricavi, invece il calcio deve avere anche uno scopo moralizzatore e didascalico». Lotito ha poi continuato spiegando che «servirebbe una norma e verificarne la provenienza (dei fondi, ndr) e che la cosa più grave è che si sta perdendo l’aspetto romantico e patriottico perché queste proprietà non hanno interesse a valorizzare la tutela della fede sportiva né il nostro territorio».

È evidente che parlando di una ipotetica norma per verificare la provenienza dei capitali di chi acquista un club di Serie A, Lotito porta un po’ di acqua ai suoi mulini visto che spesso i fondi statunitensi entrati nel calcio italiano non sono stati dalla sua parte in Lega.

Però il tema esiste e appare sempre più necessario.

Perché se da un lato la Serie A non deve ostacolare l’ingresso di nuovi capitali, dall’altro una seria normativa sulla questione la proteggerebbe da spiacevoli inconvenienti per altro sfortunatamente già avvenuti. Inoltre l’introduzione di una tale norma porrebbe il nostro massimo campionato a livello dei maggiori sport a livello mondiale (quelli statunitensi e la Premier League inglese, per esempio) dove una due diligence come si deve ha impedito più volte l’entrata nelle varie leghe di soggetti non graditi o ritenuti non solidi. E il tema è talmente importante che nessuno chiederebbe a Lotito perché mai abbia palesato questa idea solo ora e invece quando era al centro del potere in Lega non si sia concluso sul tema quasi niente.

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