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·12 aprile 2022

Dopo quattro anni ‘Il Sogno Cinese’ è finito

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Ho trascorso gli ultimi quattro anni della mia vita a Pechino, ed ora mi appresto a tornare in Italia. In questo scritto, vorrei cercare di raccontarvi come, dal punto di vista calcistico (ma parallelamente parlando anche del paese) tutto sia crollato in Cina, ma non voglio fare una sequenza degli eventi che hanno portato al totale collasso e disinteresse nei confronti della Chinese Super League (per quello metterò a disposizione nel corso di questo pezzo vari link per approfondire), ma raccontarvi qualcosa di più personale.

Nel 2016 pubblicavo il mio libro con la casa editrice Urbone Publishing: ‘Il Sogno Cinese: storia ed economia del calcio in Cina’, un libro che devo dire, è invecchiato proprio male, perchè se dovessi scrivere ora un libro sulla storia e l’economia del calcio cinese lo intitolerei Incubo, oppure Collasso.


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Ora me la prendo quando sui social leggo di gente italiana (o comunque non cinese) che esalta il modello della società in Cina pur non avendoci mai vissuto, se non un paio di settimane in vacanza: ‘Guardate! In Cina hanno costruito città dal nulla, guardate, i progetti per i nuovi stadi, guardate, come la classe media è cresciuta, guardate, come hanno contenuto bene il virus. Quanto è bella la Cina, quanto è bravo Xi Jinping’. Io vorrei rispondergli ‘Che cavolo dici guarda che….’ ma poi mi fermo un attimo e penso ‘Guarda che te eri proprio così prima di partire’.

Il libro che avevo scritto era abbastanza ottimista pur presentando delle sfide molto difficili da affrontare, ero fiducioso del fatto che la Cina sarebbe cresciuta dal punto di vista calcistico e sarebbe stata il faro del nuovo ordine mondiale. Addirittura avevo chiuso il libro con un discorso di Xi Jinping ad una conferenza sui cambiamenti climatici nel quale il presidente cinese parlava di crescita armoniosa fra i vari paesi e di creare un futuro nel quale si perseguiva lo stato di diritto, equità e giustizia. Potessi tornare indietro direi al me stesso mentre batteva quelle parole: ‘Ma che cavolo scrivi? Ma sei un cretino?’

Prima di trasferirmi collaboravo con un’Associazione che si occupava di scambi bilaterali fra Italia e Cina ed ero stato abituato molto male fino a quel momento a vedere i cinesi come dei numeri: quantità di consumatori, quantità di turisti, quantità di tifosi (celebre le sparate colossali dei club europei che dichiarano di avere decine di milioni di tifosi nella Terra di Mezzo). Finalmente qua a Pechino avevo modo di rapportarmi con le persone comuni e non con le delegazioni ingessate fino a quel momento, e grazie alle nuove conoscenze capivo che c’era molto di più rispetto alla propaganda della quale mi ero nutrito fino a quel momento e che la Cina non era affatto la terra promessa.

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Spesso i miei nuovi amici, incuriositi (e anche un pò ingenuamente) mi chiedevano: ‘Ma in Italia è vero che c’è la Mafia?’ Io gli dicevo: ‘Certo, i politici italiani sono i peggiori mafiosi del mondo’. E la risposta che ottenevo era sempre la stessa da diverse persone: ‘Eh certo che anche i nostri politici sono corrotti.’ E qualcuno aggiungeva che le cose andavano sempre peggio.

Ci sono tante questioni e sfumature sociali in Cina e molte cose le ho imparate attraverso il calcio: ad esempio i tifosi del Beijing Guoan (la squadra per la quale sono stato abbonato) si identificava nella cultura punk e skinhead, volta all’integrazione e all’antirazzismo, mentre una parte dei tifosi dello Shandong Taishan (la squadra dove giocava Pellè) erano di estrema destra (Ultrà Aquila Destra il nome del settore della Curva Nord) e identificavano l’etnia Han (quella che compone il 92% della popolazione cinese) come l’unica degna di ergersi nella società, mentre guardavano con disprezzo l’immigrazione dalle campagne alle città e l’immigrazione dalle provincie occidentali più povere a quelle più ricche della costa est.

Un caro amico della tifoseria del Tianjin, che ha realizzato anche diversi documentari per Copa90, un giorno, dopo alcune birre mi disse: ‘Ci sono alcune tifoserie di destra, altre di sinistra, ma su una cosa concordiamo tutti quanti: f”k the government’! Mi è rimasta impressa quella sua uscita perchè in quel momento capii veramente la profonda separazione che sussisteva fra il popolo cinese (o perlomeno la maggior parte) ed il suo governo.

Così nel marzo del 2018, mentre studiavo e lavoravo, iniziai a frequentare lo stadio e a seguire tutte le partite casalinghe oltre a farmi qualche trasferta. Il calcio era per me un modo per identificarmi in una nuova cultura, ma rispetto a due anni prima, quando avevo pubblicato il libro, le cose stavano iniziando ad affondare: il Governo aveva scavalcato la Federazione imponendo limiti sulle spese dei club professionistici e regole sugli impieghi degli U23, inoltre, si era già consumato il tragicomico training camp militare al termine della stagione precedente.

Un giorno andai a trovare Mauro Pederzoli, al tempo direttore sportivo del Guizhou Henfeng, si trovava a Pechino in quanto la sua squadra di li a pochi giorni avrebbe affrontato il Beijing Renhe. Mi disse una cosa molto importante che raffigurava lo stato senza speranza del calcio cinese: ‘Non ho mai lavorato in un contesto simile nel quale vi è una discrepanza tale fra livello delle prestazioni (bassissimo) e stipendi (elevatissimi). Con il fatto che gli U23 devono giocare per forza si è creata una grossa inflazione, ai giovani non interessa migliorare, hanno già dei contratti molto ricchi, si sentono arrivati’

Dato che abbiamo citato il Beijing Renhe vi sarebbe anche da parlare della totale disconnessione del calcio professionistico dal tessuto sociale: fuori dallo stadio del Renhe durante i match casalinghi non vi era assolutamente nulla se non un baracchino che vendeva coca-cola e gli spalti erano vuoti se non per un migliaio di tifosi sparsi qua e la per lo stadio. Questo perchè il Renhe, non è un club originario di Pechino: nel corso della sua storia ha militato in quattro diverse città e gli spostamenti sono sempre stati dettati dagli interessi dell’azienda proprietaria. Questa è la realtà del calcio cinese, con i club che sono un dispendioso biglietto da visita che le proprietà esibiscono nei confronti dei governi locali al fine di ottenere maggiori benefici per i loro business primari. Solamente in rare occasioni, vi è l’interesse di creare una fanbase, come nei casi di Beijing Guoan, Shanghai Shenhua o Guanzhou Evergrande.

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La totale disconnessione è generata anche dal fatto che in Cina, anche in città senza cultura calcistica e che non hanno mai avuto un club professionistico nella loro storia, si costruiscono stadi imponenti da 40-50.000 posti, questo solo per aggiustare il GDP durante l’anno e mostrare di tenere elevato il tasso di occupazione. Mi trovavo nella città di Liaocheng nel maggio del 2018, una realtà che vive solo di calcio giovanile e amatoriale ma che aveva costruito due anni prima uno stadio da 40.000 posti che era sempre stato inutilizzato. Ho speso molte parole per questa gettata di cemento sul calcio cinese ed ora sono proprio curioso di vedere quale sarà il futuro del mega stadio del Guangzhou FC da ben 80.000 posti dato che il club è stato completamente smobilitato e l’azienda proprietaria, il fondo Evergrande, è sull’orlo del collasso.

In fin dei conti ho capito che questa è una società che più di ogni altra punta sull’apparenza per alimentare la narrazione di se al proprio popolo e all’estero. Parlando sempre di cemento, quante volte abbiamo letto che la Cina ha costruito nell’ultimo decennio un numero di grattacieli superiore a quello degli Stati uniti nell’ultimo secolo? Ma se poi si entra in questi edifici si constata che la qualità è da mani nei capelli e che anche a Pechino, mediamente, un appartamento dopo dieci anni è da ristrutturare completamente perchè cade a pezzi.

Parlando di esperienze personali dirette, il contesto nel quale ho visto più spudoratamente mentire per mantenere le apparenze è quello dell’educazione privata negli asili, dove le famiglie pagano oltre 1.000 euro al mese (se va bene) per mandare i propri figli in classi dove già da tre anni possono imparare inglese con un insegnante madrelingua. Peccato che molti di questi insegnanti non provengono da paesi madrelingua, ma sono russi, ucraini, serbi, pakistani, filippini, sudamericani che non hanno nemmeno un permesso di lavoro regolare e vengono spacciati ai genitori come ‘Native Speakers’.

Quando sostenevo di essere interessato nel calcio cinese la gente mi guardava in modo strano ‘Why?! It sucks’. Non ho mai conosciuto una singola persona cinese che abbia speso delle buone parole per il proprio calcio (e lo stesso lo potrei dire sul fronte governativo). Sono in molti infatti a ignorare il calcio locale e a seguire solamente quello internazionale.

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Duranti i Mondiali di Russia 2018 gran parte dei locali e centri commerciali di Pechino era addobbata per l’occasione. Quando mi trovavo in un ristorante o in un bar con amici stranieri spesso alcuni cinesi si approcciavano a noi dal nulla chiedendoci consigli sulle scommesse. Certo, le scommesse qua in Cina sono illegali e vi sono solo alcuni canali controllati dallo stato, ma durante Russia 2018 le persone trovavano qualsiasi via per piazzare le loro giocate, vi era entusiasmo nell’aria per il calcio ed ovunque era possibile seguire le partite dal vivo.

Durante Coppa d’Asia a inizio 2019 la situazione era piatta. Mi trovavo con un amico in un pub affollato a guardare la partita della fase a gironi fra Cina e Filippine e nonostante i gol di Wu Lei e compagni che decretavano il passaggio del turno nessuno attorno a me sembrava curarsene.

Dunque siamo nel 2019, un anno in cui, sia per me, ma anche per il mondo intero, cambia la percezione della Cina. La tanto decantata strategia di soft power a mio modo di vedere viene spazzata via dalle polemiche internazionali a causa dell’esposizione mediatica nei confronti della repressione della minoranza uigura nella provincia dello Xinjiang (fra l’altro un giocatore uiguro, Erpan Ezimjan, nel 2018 è stato deportato in un campo di rieducazione e fatto sparire per un anno) e quella violenta fra le proteste ad Hong Kong, che ha avuto il suo apice con un tweet di un dirigente degli Houston Rockets a sostegno della libertà nell’ex colonia britannica, che ha portato la Cina ad oscurare per un lungo periodo l’NBA. Alle critiche la Cina rispondeva solo con la censura.

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La situazione si faceva pesante però anche a Pechino, in vista del 70mo anniversario della Repubblica Popolare Cinese l’intera città era in stato di paranoia: nelle aree sensibili alla parata celebrativa erano stati fatti chiudere con un mese d’anticipo bar e locali notturni, inoltre ogni mattina per andare a prendere il treno in stazione si doveva attendere in fila per lunghi controlli. Non vedevo più la Cina come una guida per una crescita armoniosa fra i popoli come ingenuamente pensavo, il paese aveva iniziato a chiudersi in un’ottica di ‘Noi contro il resto del mondo’.

La pandemia ha poi gettato la Cina in un baratro ed in una chiusura dal resto del mondo dalla quale non vedo un punto di ritorno. Nel marzo del 2020 il paese ha chiuso le frontiere al resto del mondo e la situazione non accenna a migliorare. A causa della tanto decantata Zero Covid Policy assistiamo costantemente ad impotenti lockdown anche di intere città, non ultime Xi’an e Shanghai.

Si applicano delle misure irragionevoli e da psicopatici: a Xi’an a varie persone è stato negato l’ingresso in ospedale nonostante avessero bisogno di cure e sono state lasciate morire in casa, mentre a due donne non è stato concesso di partorire ed hanno perso il figlio. In Cina puoi morire di qualsiasi cosa, ma è vietato morire di covid. In questi giorni che sto scrivendo, leggo che a Shanghai (dove la situazione è critica), 300 bambini asintomatici (anche di un anno) sono stati accatastati in poche stanze d’ospedale con sole dieci infermiere al seguito perchè è vietato farli stare assieme ai genitori.

Ma anche se non vi sono casi si attuano comunque delle restrizioni preventive: l l’episodio più emblematico è quello della città di Zhangjiakou (che ha co-ospitato le Olimpiadi assieme a Pechino), dove il sindaco Wu Wei Dong (inserite voi degli insulti violenti a questa persona) ha messo la città in ostaggio: Dong aspetta una promozione in una città di livello più alto ed è dunque fondamentale dimostrare che non vi sono casi. Per questo chiunque voglia entrare in città deve sottoporsi ad una quarantena di due settimane in hotel (nemmeno nella propria abitazione!). Tutte le proteste in merito naturalmente sono state censurate.

Questi sono solamente alcuni dei tantissimi esempi che potrei fare in questi ultimi due anni. Di certo in Italia e in Europa ci abbiamo capito pochissimo e abbiamo fatto tantissimi errori, ma ora sembra che abbiamo trovato un punto d’equilibrio e di convivenza (?? almeno spero, sono due anni che manco dall’Italia), ma qua la situazione è ancora più drastica ed il governo la utilizza per controllare ancora di più la popolazione. Per ‘motivi di sicurezza’ i cittadini cinesi non possono rinnovare il proprio passaporto se non per motivi di studio o di lavoro ed è questa la ragione che mi ha spinto a lasciare la Cina, per permettere a mia moglie di rinnovare il passaporto e non ritrovarsi bloccata in questo paese che ogni giorno progredisce a grandi passi verso la Nord Corea (anche se penso che in Europa, in particolar modo nel nostro bel paese, per come viene manovrata l’informazione da giornalisti compiacenti, se non siamo la Nord Corea siamo sicuramente il Turkmenistan).

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La situazione economica del paese è precipitata: a partire dallo scorso anno il governo ha lanciato una guerra serrata alle grandi compagnie informatiche, focalizzandosi in particolar modo sull’educazione online. Oltre un milione di persone hanno perso il proprio posto di lavoro e innumerevoli compagnie si trovano sull’orlo della bancarotta. Ma anche il settore dell’e-commerce con JD e Alibaba ed un gigante come Tencent non sono stati esenti da sanzioni e restrizioni che hanno comportato un ingente numero di licenziamenti. Di certo queste compagnie dovevano essere regolamentate ma vi è una via di mezzo fra rendere un mercato più pulito e scatenare licenziamenti di massa con l’impossibilità di potersi ricollocare nel settore e comunque sia non risolvere i problemi alla base. La mia personale impressione è che questa classe di vecchi politici, orientata oramai verso la chiusura sociale del paese dal resto del mondo ed il mantenimento di uno stato di tensione (che anche noi in Italia conosciamo bene) voglia impedire l’ulteriore progresso della classe media al fine di esercitare un maggior controllo.

In questo scenario il calcio è diventato un corpo completamente estraneo alla società cinese: a partire dal 2020 le stagioni di Chinese Super League si giocano in bolle centralizzate nelle città di Suzhou, Guangzhou e Dalian e spesso le partite non sono aperte al pubblico. In sostanza, si permette alle persone ogni mattino di ammassarsi in metro, ma sicuramente non di andare allo stadio. Ad aggravare la situazione vi è la totale incertezza sul format della stagione: si sa che si inizia con due gironi da 8 squadre, ma poi? Lo si scoprirà a stagione in corso, un anno sono stati i playoff, lo scorso una seconda fase a gironi, mentre quest’anno? Non si sa nemmeno la data di partenza, figuriamoci il format.

Inoltre molti club hanno cessato di esistere, lo Jiangsu Suning un paio di mesi dopo aver vinto il campionato ha cessato tutte le proprie attività, la moria di club nelle serie inferiori è stata enorme ed anche lo storico Guangzhou Evergrande rischia di andare incontro alla dissoluzione. La mazzata finale infine arriva dalla Nazionale, con l’U23 nemmeno qualificata per la Coppa d’Asia di categoria (ergo, nessun futuro), mentre la Nazionale Senior nelle qualificazioni a Qatar 2022 ha conquistato la miseria di soli 6 punti chiudendo il girone alle spalle addirittura dell’Oman.

Ci ripenso ed è alquanto ironico il fatto che quattro anni fa mi sono trasferito in Cina proprio per amore del calcio e della scoperta (che poi a livello professionale non sono riuscito a trasformare questa passione è un altro conto, alla fine mi sono riciclato come insegnante di lingue e mi è andata benissimo), e alla fine di questo viaggio ne esco completamente disinnamorato, sia del calcio cinese che non ha alcun futuro, sia di questa società, controllata da un governo paranoico che utilizza il covid come strumento per aumentare la propria morsa sulla popolazione e intanto infarcirla di becera propaganda e cercare capri espiatori a causa dei nuovi focolai addossando la colpa agli stranieri.

In questi ultimi due anni sono quasi sempre rimasto a Pechino, eccetto una volta quando sono riuscito a recarmi a Suzhou per vedere i quarti di finale del campionato nel settembre del 2020. Quella è stata l’ultima volta in cui ho avuto l’occasione di vedere il Beijing Guoan dal vivo ed è triste pensare che molto probabilmente non ricapiteranno più altre occasioni per il resto della mia vita.

Quattro anni fa Pechino sembrava che mi potesse proiettare verso il futuro, oggi invece mi tiene chiuso in una bolla dissipando le emozioni ed allontanandomi ogni di giorno dalla realtà. Quello slancio emotivo si è interrotto ed ora è tutto finito. Il Sogno Cinese è finito.

Desidero ringraziare le persone con cui ho condiviso i miei migliori momenti in questi anni: Valentino Tola, Marco Volpe, Daniele D’Eustacchio, Brandon Chemers, Xiao Bao e naturalmente mia moglie Nan Wang.

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