PianetaSerieB
·13 novembre 2024
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·13 novembre 2024
Nel suo stupendo “Le notti bianche”, Fëdor Dostoevskij, dando parola al narratore senza nome protagonista della storia, ringrazia così la giovane Nasten’ka, fonte di un attimo di beatitudine dall’epilogo negativo: “Sia limpido il tuo cielo, sia luminoso il tuo caro sorriso, sii tu benedetta per l’attimo di beatitudine e di felicità che hai donato a un altro cuore […]“. Nessun rancore, dunque. La carriera di Fabiano Santacroce, pur essendo stata accompagnata da diversi momenti contrassegnati da applausi, porta probabilmente con sé la sensazione di non aver portato a realizzazione tutte le possibilità derivanti da un rimarcabile, probabilmente sconfinato, talento. Nell’era, questa, del calcio giocato su ritmi alti, della responsabilizzazione dei difensori nel saper convivere con quaranta metri di campo alle spalle e dell’intensità come dogma, ecco che quel Santacroce, protagonista con il Napoli e arrivato in Nazionale con Lippi, sembrava davvero essere un prototipo atterrato dal futuro. Nonostante il what if, ad ogni modo, oggi Santacroce è sereno, felice e soprattutto propositivo. Intervenuto in esclusiva ai nostri microfoni, sono stati diversi gli argomenti toccati.
Fabiano, tra le tante cose che la tua carriera ha da raccontare è giusto che trovino spazio i ricordi di Brescia e Juve Stabia, società in cui hai militato in momenti differenti del tuo percorso. Ti va di aprire il cassetto del passato per raccontarci di entrambe le realtà?
“Brescia è un posto che mi è rimasto nel cuore, perché da lì è partito quello che potrei definire calcio vero. Ho conosciuto tantissimi calciatori e avuto la fortuna di giocare con Di Biagio, Possanzini, Bazzani, Milanetto e tanti altri giocatori di indiscutibile livello. Porto tanti bei ricordi con me, quelle sono state le prime paure, le prime sfide, le prime difficoltà. È una compagine che vive dentro di me. Castellammare è stata un’esperienza diversa, avevo appena smesso di giocare, poi ho conosciuto mister Fontana, che mi ha voluto con sé e mi ha fatto conoscere una bella realtà, eravamo in Serie C ma giocavamo benissimo. Mi sono trovato bene anche lì, è un bel posto, lo dico con estrema convinzione”.
Per il Brescia era una fase davvero florida in termini di scoperte calcistiche: c’era un giovanissimo Santacroce ma, al contempo, la fioritura di Hamsik, le sensazioni positive (poi non realizzate) su Savio Nsereko e diversi altri. Non mancavano elementi di esperienza, tra cui è necessario menzionare Davide Possanzini, che ora sta facendo benissimo con il Mantova ed è uno dei tecnici maggiormente in rampa di lancio nell’intero movimento calcistico italiano
“Ho un ricordo splendido di Davide, ho imparato davvero tanto da calciatori come lui. Parliamo di elementi molto importanti di quella che era una Serie B di incredibile livello. Essendo difensore mi ritrovavo a ogni allenamento a essere puntato da uno come lui, giocatore intelligentissimo e dotato di grande tecnica. Quando era il momento di marcarlo bisognava leggere e anticipare la sua scelta, ma aveva un ampio bagaglio di possibilità a disposizione. Condividere questi momenti quotidiani è stata per me fonte di notevole apprendimento”
Altro tecnico ora in Serie B che hai incrociato è Fabio Caserta, vice di Fontana durante la tua tappa a Castellammare, alla sua prima esperienza da allenatore, avendo smesso di giocare da pochissimi mesi. Era, per lui, sicuramente una fase di puro apprendimento, ma che sensazioni ti dava?
“Con Fabio ho sia giocato contro che condiviso quest’esperienza che hai menzionato. È un mio caro amico, ci siamo sentiti pochi giorni fa ed è un piacere farlo anche solo per un saluto, perché è davvero una grande persona. Durante quella stagione avrà sicuramente imparato tanto, perché Fontana è un allenatore che ha ottimi spunti. Sarà stato un anno senza alcun dubbio fondamentale per la sua crescita, come dimostrato dall’impronta che ha sempre dato alle sue squadre”.
Hai giocato con un’infinità di giocatori di cui sarebbe interessante chiederti, ma mi soffermerei su due profili calcisticamente opposti: Raphael Odogwu, tuo compagno alla Virtus Verona, dotato di una struttura fisica a mio avviso oramai introvabile dalla A alla C, con Lukaku come unico termine di paragone, e un giovanissimo Giuseppe Caso in quel di Cuneo. Finalizzatore uno, estrosa ala l’altro.
“Appena arrivato alla Virtus Verona, dopo aver smesso e re-iniziato per l’ennesima volta (ride, ndr), rimasi davvero stupito da Odogwu, gli dissi che avrebbe dovuto cambiare qualcosa perché era impossibile che un giocatore come lui stesse in Serie C. Era davvero sprecato, parliamo di un bravissimo ragazzo e un grande professionista, con una struttura fisica impressionante. Mi ha fatto davvero piacere quando è salito in Serie B, merita il meglio. Per quanto riguarda Caso, è un ragazzo con cui ho parlato tanto in un anno sventurato ma bello, al termine del quale siamo retrocessi a causa della penalizzazione ricevuta. Punti alla mano eravamo in zona playoff, ma il presidente non pagava e ci siamo ritrovati a disputare i playout. Giuseppe ha delle doti assurde, ha una rapidità – soprattutto nei primi metri – difficile da trovare in giro, oltre a un’ottima tecnica in velocità. È un calciatore che fa male ogni volta che parte, ma insistevo sempre che dovesse alzare il livello complessivo e imparare a sfruttare meglio le sue caratteristiche. Gli ho rotto spesso le scatole (ride, ndr). Così facendo, ne sono convinto, non si troverebbe in Serie B”.
Torniamo al presente, focalizzandoci nuovamente su Brescia e Juve Stabia. Ti va di sintetizzarci il tuo pensiero su entrambe queste compagini?
“Il Brescia, con i giocatori che ha, secondo me potrebbe e dovrebbe fare molto di più. La situazione, ad ogni modo, resta positiva, perché negli anni passati le cose non sono andate per il meglio. Per la Juve Stabia il discorso è diverso, parliamo di una squadra che gioca bene, la proposta è ottima, e da osservatore dico che ci sono dei calciatori davvero interessanti. La Serie B, ad ogni modo, è un campionato molto lungo, che ha l’incertezza connaturata: in tre partite puoi toccare il cielo o ritrovarti nella fossa”:
Il tuo percorso nel calcio ha vissuto tante tappe dalla differente musicalità. Un vissuto che, oggi, ti permette senza alcun dubbio di poter essere un’ottima guida in un mondo, quello dell’amato fútbol, che non hai abbandonato. Chi è e cosa fa, oggi, Fabiano Santacroce?
“Sono semplicemente un uomo che cerca di insegnare quello che è il modo per affrontare il calcio. Sono stato in piazze con obiettivi diametralmente opposti, ho attraversato tante dinamiche in ognuna delle categorie professionistiche, accumulando di conseguenza idee ed esperienze che oggi mescolo per cercare di dare i giusti consigli, tanto ai giovani quanto ai calciatori esperti. Lavoro per un’agenzia, che ho fondato cercando di seguire questo senso. Desidero dare un appoggio morale ai ragazzi invece che spremerli”.