Footbola
·21 ottobre 2020
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·21 ottobre 2020
Per chi non lo conoscesse, il nome Delfín suona come curioso e a tratti anche buffo, ma la storia di questo club ecuadoriano vale la pena di essere raccontata. Anche perché nella notte è stato raggiunto per la prima volta un traguardo storico come la qualificazione agli ottavi di finale di Copa Libertadores, qualcosa di impossibile se si pensa alla classifica di metà girone, ma realizzato grazie a una grande capacità di restare mentalmente dentro al torneo e ai regali di Olimpia e Defensa Y Justicia che non sono riuscite a raggiungere una qualificazione alla portata.
Il Delfín è un club relativamente giovane e decisamente piccolo: è stato fondato nel 1989 nella città di Manta ed è il primo club storico del calcio dell’Ecuador a essere arrivato in Serie A senza rappresentare una città capoluogo di provincia. Manta è infatti una città della Provincia di Manabí, che è passata alle cronache mondiali per un tragico terremoto di grado 7.8 della scala Richter avvenuto nel 2016, che di fatto buttò giù tutte le costruzioni cittadine.
La peggior tragedia della storia di questo luogo, tanto che la ricostruzione è stata lenta e dolorosa, anche per via delle 600 persone che hanno perso la vita sotto le macerie. Da quel momento l’unione degli abitanti si è riversata nella grande passione per la propria squadra di calcio, il Delfín appunto, una squadra che punta quasi esclusivamente su calciatori locali e che ha rappresentato in questi anni il vero faro di un popolo messo in ginocchio dalla disgrazia.
A livello sportivo infatti sono arrivati risultati impressionanti, culminati con la storica qualificazione a questi ottavi: il primo grande traguardo fu il secondo posto del 2017, appena un anno dopo il terremoto, in una finale persa con l’Emelec che ha fatto comunque storia. Poi nel 2019 è arrivato il primo storico titolo, accompagnato dalla finale di coppa nazionale persa contro la LDU di Quito. La squadra l’hanno resa grande come detto i calciatori locali, ma gli allenatori che hanno cambiato il corso della storia del club sono arrivati da fuori.
Prima Guillermo Sanguinetti, che ha gettato le basi per questo grande ciclo portandolo fino alla citata finale con l’Emelec, e oggi Zahzú, un ex portiere dal palmarès particolare. Ama le sfide colorite, quelle che rendono grandi delle piccole realtà: ad esempio ha portato dopo 57 anni un titolo allo Sportivo Luqueño in Paraguay, o ha portato in Copa Sudamericana piccole squadre boliviane come il San José di Oruro e soprattutto l’Aurora di Cochabamba.
Personaggio singolare per un club singolare, che dal nome alla storia non ha nulla di banale. E infatti anche l’epilogo dello strepitoso cammino non poteva non arrivare in un contesto d’élite: il Cetáceo (soprannome del club facilmente intuibile) al Defensores del Chaco, lo storico stadio dell’Olimpia, un club che nella sua storia ha vinto tre volte la Libertadores e vanta anche un titolo mondiale. La squadra non è più ai livelli di un tempo, vero, ma la ricca campagna acquisti con l’arrivo di Adebayor aveva fatto pensare a un cammino decisamente ambizioso. E invece si è spento sul colpo di testa di Agustín Ale, uno dei pochissimi stranieri presenti in rosa, uno che non si aspettava neanche che il calcio tornasse così in fretta dopo l’emergenza per sue stesse dichiarazioni e che invece oggi si guadagna un posto dritto nella storia.
Chiunque si qualifichi, nessuna squadra potrà essere considerata una sorpresa più grande del Delfín, condannato all’ultimo posto dopo aver fatto 0 punti in tre giornate, miracolosamente qualificato dopo un girone di ritorno da grande del calcio internazionale. Una fenice più che un delfino, rinato dalle macerie di un terremoto per la città di Manta che adesso ha davvero dimenticato il peggio.