Joao Pedro: «Fascia di capitano, retrocessione a Venezia, anni al Cagliari. Vi racconto tutto» | OneFootball

Joao Pedro: «Fascia di capitano, retrocessione a Venezia, anni al Cagliari. Vi racconto tutto» | OneFootball

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Cagliarinews24

·16 aprile 2025

Joao Pedro: «Fascia di capitano, retrocessione a Venezia, anni al Cagliari. Vi racconto tutto»

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Joao Pedro, ex giocatore del Cagliari, ha rivelato dei retroscena sugli anni passati al Cagliari tra varie gioie e momenti particolari

Joao Pedro nella giornata odierna ha rilasciato delle interessanti dichiarazioni per Cronache di Spogliatoio circa gli anni trascorsi in Sardegna. L’ex giocatore del Cagliari ha parlato dei diversi momenti passati ai tempi dei rossoblù. Le sue parole:

RETROCESSIONE DEL 2022«Questa è l’altra partita della mia carriera che avrei voluto rigiocare. Tutta la settimana era stata pesante: c’era molta paura, anche se avevamo provato a caricarci al massimo. Andavamo a Venezia per giocarci la vita o la morte. È difficile da spiegare quella sera… dovevamo segnare solo un gol. Non che sia una cosa così facile, ma neanche impossibile. Avrei voluto fare il gol più brutto della storia in quel momento: un tiro svirgolato, una deviazione, qualcosa. All’intervallo, ci avevano detto che la Salernitana era sotto 3-0 contro l’Udinese. Ci siamo guardati: ‘Dai ragazzi, basta un gol. Non importa come o chi. Una palla’. C’abbiamo provato in ogni modo. La stagione è finita lì, ma la retrocessione non è iniziata quella sera a Venezia».


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CRITICHE«Il post è stato duro. Avevo e ho ancora oggi la responsabilità di quella squadra. Se è mancato qualcosa, è soprattutto colpa mia. Non solo a livello individuale, ma parlo a livello di capacità di trascinare, guidare e aiutare i compagni. In certi momenti non sono stato capace. È stata un’annata pesante: abbiamo sofferto tutto il tempo».

JOAO NON SI PRESENTA AI MICROFONI«Non mi hanno fatto parlare. Questo devo dirlo: non voglio che la gente pensi che io non abbia voluto metterci la faccia. Da quel momento, poi, mi sono chiuso tanto. Sono umano anch’io. È stato un colpo duro, un silenzio pesante fino praticamente all’annuncio del mio addio. Non mi pento di nulla, non amo sprecare parole: se dico qualcosa, è perché voglio trasmettere la verità. Capisco che i tifosi lì per lì avrebbero voluto sentire qualcuno… che sarei dovuto essere io! Ho dato veramente tutto quello che avevo a Cagliari: avrei preferito uscire da incapace a livello calcistico piuttosto che come uno che ha abbandonato la squadra in un momento di difficoltà perché non è assolutamente vero. Da fuori possono dire ciò che vogliono, poi basta vedere come ho vissuto ogni partita indossando quella maglia: io e Cagliari abbiamo un rapporto che nessuno potrà mai rovinare. Il finale è stato forse uno dei peggiori possibili, ma da tifoso io direi: ‘sono orgoglioso di avere avuto un calciatore del genere, così attaccato al mio Cagliari’».

CAGLIARI«Ho vissuto un terzo della mia vita lì: sono arrivato ragazzino e me ne sono andato uomo e padre di famiglia. Sono stati 8 anni meravigliosi. Anche quando mi accostavano ai top club, io non ci pensavo: negli anni avevo visto gente come Di Natale all’Udinese o Miccoli a Palermo fare molti più gol di me ed essere comunque fra i migliori calciatori della Serie A. Io volevo fare lo stesso: mi aggrappavo a questo».

SALVEZZA 2021«Abbiamo festeggiato in hotel dopo il pareggio fra Benevento e Crotone. Noi la sera avremmo poi giocato a San Siro contro il Milan. A pranzo qualcuno aveva detto: ‘Ce la guardiamo insieme?’. C’era tensione, ci si divideva in gruppetti, ma io ho preferito andare a dormire. Non ho visto nulla di quella partita: era troppo importante per noi, non ce la facevo a mettermi davanti alla tv. All’improvviso mi sveglio: c’era una confusione pazzesca nei corridoi dell’hotel. Apro la porta e vedo gente che urlava, correva, si lanciava cose. Ho detto: ‘Beh, immagino sia successo qualcosa di buono’. Poi sono venuti a prendermi: ‘Siamo salvi, siamo salvi!’. Ma io ho chiuso la porta altrimenti camera mia sarebbe diventata un disastro. Volevo sentire la mia famiglia e respirare, con calma. Avevo i brividi: fu una stagione davvero faticosa. A gennaio ci davano per spacciati… e invece!».

PROMOZIONE 2016 –«João, cosa facciamo?». Ma, con ancora tutto da dimostrare, il classe ’92 era sicuro: «Io voglio rimanere e riportare il Cagliari in A. Ero un ragazzino: ricordo di aver vissuto quella stagione con grande rabbia. Volevo solo giocar bene e tornare in massima serie. Mi dicevo: ‘Ho fatto un torto a loro, devo ripagarli’. Venivamo da una stagione finita male, con la retrocessione: non è così semplice tornare subito su, fidatevi».

CERTEZZA«Segnare più di 40 gol in 3 stagioni in un campionato del genere è tutt’altro che semplice. Non giocavo con Juventus, Inter o Milan. Sono stato uno dei primi a portare un fisioterapista e un preparatore atletico a casa per lavorare anche al di fuori del club: sono cose che ti fanno fare la differenza. Sono stati anni magici. L’allenatore che mi ha cambiato? Maran. Mi ha spostato più avanti e io ho segnato 18 gol. Non ho mai avuto grandi problemi con i mister, ma all’inizio con qualcuno non sono riuscito a prendermi. Io sono un po’ chiuso, fatico ad esternare le mie emozioni».

BARELLA«Era scatenato. È evidente che abbia tantissima qualità, non serve dirlo ma ciò che mi ha sempre stupito è stata la sua cattiveria: in ogni partita, per 90 minuti, lui comunque ci prova. Non è sfacciato, ma quasi… credo sia stato uno dei motivi principali per cui sia arrivato a questo livello. È una cosa che trovi davvero in pochi calciatori. Anche in allenamento dovevi dirgli: ‘Nico, calma. Non c’è bisogno’. Lo invidiavo tantissimo: non serviva stimolarlo, lui era già così di suo. Era uno che provava di tutto: calciava da centrocampo, tentava la rovesciata di mancino. Robe che io neanche ho mai tentato. A lui non fregava nulla di sbagliare: ci provava».

PAVOLETTI«Il compagno con cui ho imparato di più è stato Pavoletti: segnava di testa come un pazzo, in tutti i modi. Mi chiedevo: ‘Ma com’è possibile che segni così tanto di testa?’. Con lui sono riuscito a migliorare anche in quel fondamentale. Rendeva facili gol impossibili».

SCHERZO A LE IENE«Non ricordo se avessero cercato prima me o Pavo, ma ad ogni modo sia io che lui non avevamo avuto dubbi: dovevamo fare lo scherzo a Cragno. Eravamo sicuri che se la prendesse. Pavoletti è un attore pazzesco. Prima di iniziare la messa in scena, gli ho detto: ‘Vai tu avanti. Mi fido di te’. Era tranquillo, raccontava per bene la storia. Io neanche riuscivo a parlare, mi veniva troppo da ridere. Non riuscivo a trattenermi, invece Leo era freddissimo davanti a Cragno. Ne abbiamo riso per giorni, per fortuna Cragno ha preso bene lo scherzo. Io avrei avuto una paura folle. Per settimane abbiamo continuato a prenderlo in giro… anzi, già lo facevamo: adesso avevamo un motivo in più! Gli vogliamo troppo bene».

BORRIELLO«Non avevamo un gran rapporto fuori dal campo, neanche ci guardavamo in faccia, ma giocare con lui era pazzesco. In campo avevamo un’intesa incredibile. Gli davi qualsiasi pallone e lui lo metteva giù, lo teneva. Calciava di destro e sinistro, colpiva di testa: aveva una mentalità vincente. Così come Bruno Alves e Godin».

STORARI E NAINGGOLAN«Vedevo la differente mentalità in loro mentre provavano a trasmettercela. Così come Storari o lo stesso Nainggolan: Radja passava la palla e attaccava la profondità. Io non provavo a saltare nessuno, gliela passavo e mi fiondavo in attacco. È chiaro che si giochi sempre per vincere, ma loro ci dicevano: ‘Farlo in una big è diverso’. Quando sono andato in Turchia o in Brasile l’ho capito: l’errore più grande che puoi fare, ascoltando i tuoi compagni che hanno giocato ad altissimi livelli, è quello di non imparare e vedere i loro consigli come cretinate»

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