Footbola
·9 dicembre 2019
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·9 dicembre 2019
Quando l’América de Cali ha alzato al cielo il titolo del Clausura 2019 il calcio colombiano ha finalmente ritrovato una delle sue grandi. Tutto tranne che una squadra qualsiasi: vero, queste parole si potrebbero appoggiare a diversi club, ma la storia dell’América è una di quelle da raccontare, un misto di maledizioni e misticismo tra l’affascinante e il tetro che accompagnano meravigliosamente il racconto di decenni di calcio sudamericano.
Questo successo significa tanto, perché segna il ritorno al titolo di una squadra, una delle più titolate di Colombia, dopo 10 anni, i peggiori della storia del club. Non che in passato siano mancati i momenti di difficoltà, ma a questi livelli mai: perché l’América de Cali è stato retrocesso, umiliato, disgraziato. C’è persino chi ha creduto che fosse ritornata la Maldición del Garabato, una sorta di Bela Guttman ante-litteram in salsa colombiana.
“Fate ciò che volete, fate dell’América un club professionistico, ma giuro su Dio che non sarete mai più campioni” recitò Benjamín Urrea, noto a tutti come El Garabato nel 1948, quando il professionismo stava sbarcando nel calcio colombiano. Non accettava che il suo club, di cui era dirigente, si arrendesse al denaro abbandonando per sempre l’era Amateur. E da lì partì la maledizione, una vera sciagura peri Diablos Rojos che per 31 anni non vinsero alcun titolo.
Dovettero aspettare il 1979 prima di poter festeggiare un campionato, ma neanche il ritorno al successo convinse i membri del club di essersi liberati della maledizione. No, serviva di più, qualcosa che la cancellasse per sempre. Nel 1980 organizzarono un esorcismo allo stadio Pascal Guerrero assicurandosi che fosse presente il Garabato stesso, e visto che siamo in Sudamerica da lì in poi partì la più grande era della storia del club.
Se oggi l’América de Cali viene considerato “un Gigante del Continente” lo deve soprattutto agli anni ’80, in particolar modo ai cinque campionati consecutivi vinti tra il 1982 e il 1986. Ma in realtà la maledizione non era totalmente andata via: perché se c’è qualcosa che accomuna realmente il Garabato a Bela Guttman è l’incapacità dei rispettivi club (América e Benfica) di vincere in campo internazionale. E infatti in quegli anni l’América de Cali perse tre finali di Copa Libertadores consecutive, replicando poi nel 1996 con una nuova sconfitta subita per mano del River Plate che lo rende la squadra ad aver perso più finali di tutte senza aver mai vinto.
E quel 1996 fu l’inizio della fine. “Kingpin List”, due parole per far crollare la storia di un club: le sanzioni anti-narcotraffico indette dal Presidente degli Stati Uniti Bill Clinton distrussero la reputazione dell’América de Cali, di fatto l’unico club realmente colpito da queste leggi nonostante non fosse di certo l’unico a essere gestito dai narcos. Da glorioso a criminale, tossico, deplorevole. Gli sponsor scapparono via, i premi per i tornei vennero revocati, gli altri club non volevano affrontarli e i migliori giocatori se ne andarono.
Tanti anni di sofferenza con soddisfazioni estemporanee fino all’inevitabile retrocessione del 2011. Dalla gloria all’oblio, ma anche dalla disgrazia al successo. L’América de Cali è rinato, ci ha impiegato tutto il decennio a tornare ma alla fine ce l’ha fatta. La finale del Clausura vinta contro il Junior de Barranquilla segna il completamento di un percorso e riporta dignità a chi ha scritto la storia del calcio colombiano. E nell’anno che verrà ci sarà addirittura la Copa Libertadores, l’unico torneo che può rompere una volta per tutte la maledizione del Garabato, che però ormai è parte del club tanto quanto i suoi titoli.