Riserva di Lusso
·28 novembre 2020
Riserva di Lusso
·28 novembre 2020
158 anni fa, a Nottingham, nasceva la quinta squadra di calcio più antica al mondo, (la prima se si escludono i club non professionistici) il Notts County. Scopriamo insieme la sua storia, profondamente legata a quella della Juventus.
Torino, 8 settembre 2011. In una calda serata di fine estate, viene inaugurato lo Juventus Stadium, la nuova casa, il nuovo palcoscenico della Vecchia Signora. Si tratta di un cambiamento epocale, che potrebbe risollevare le sorti di un club ancora alle prese con gli strascichi di Calciopoli (e così fu). Gli spalti sono colmi di tifosi in festa e in ogni angolo dello stadio si respira un clima di forte entusiasmo. Un’euforia generale che si trasforma persino in commozione quando i maxischermi trasmettono le immagini emblematiche della storia bianconera e delle sue tante, tantissime vittorie. Oppure quando, da soli al centro del campo e con la luce puntata addosso, compaiono Giampiero Boniperti e Alessandro Del Piero, simboli del passato e della contemporaneità bianconeri.
La Juve è sempre stata un meraviglioso dipinto, e un meraviglioso dipinto ha bisogno di una cornice meravigliosa come questa.
Al loro fianco, trasportata in volo da due acrobati, placida quanto solenne, la panchina di legno intorno alla quale, secondo la leggenda, si riunivano alcuni studenti del liceo classico Massimo D’Azeglio. Gli stessi ragazzi che, affascinati dal nuovo sport di origine britannica, si trovavano a giocare a “football” in Piazza d’Armi (oggi convertita nel “Parco Cavalieri di Vittorio Veneto”), e che, nel 1897, avrebbero fondato «per gioco, per divertimento, per voglia di novità» la Juventus.
Durante l’inaugurazione di un qualsiasi impianto sportivo, però, non ci si può esimere dal dare la parola al campo. Anzi, la prima gara è decisamente il momento culmine della festa. I tifosi non aspettano altro che di vedere i primi passi sull’erbetta, i primi palloni che gonfiano la rete, le prime esultanze ed i primi abbracci. Chissà quante fantasie, quante ipotesi, quindi, nei mesi precedenti all’evento, su quale sarebbe stata l’avversaria in quella magica sera. Una delle rivali di sempre, e quindi Inter o Milan? Entrambe? Oppure la società avrebbe invitato uno dei club europei più blasonati, come Real Madrid, Barcellona o Liverpool?
Niente di tutto questo. Molti dei suddetti sognatori probabilmente avranno storto il naso leggendo il nome della squadra effettivamente designata ad affrontare la Juve. Altri avranno pensato che Agnelli & Co. avevano agito spinti dal desiderio di vincere facile. Come spiegare, altrimenti, la scelta di un club proveniente addirittura dalla Football League One, la terza serie del calcio inglese? Come spiegare quel nome, “Notts County“?
Già, come spiegarlo. Eppure la Juventus deve tutto al Notts County. Senza un banale scherzo del destino, molte cose sarebbero andate, probabilmente, in un modo diverso.
Tutto parte dagli stessi ragazzi del D’Azeglio, quelli che si incontravano sulla celebre panchina all’incrocio tra Corso Duca di Genova e Corso Vittorio Emanuele II. Com’è possibile immaginare, i padri fondatori della Juventus, proprio in virtù della loro giovane età, disponevano di capitali ben modesti da poter investire. Il loro obiettivo principale, tutto sommato, era quello di divertirsi e come campo da gioco (almeno inizialmente) poteva andar bene una piazza. La politica di risparmio andava applicata anche alle magliette: i soci optarono così per il tessuto più economico che trovarono nei negozi della città sabauda, il percalle di color rosa. Come tocchi accessori di eleganza, una cravatta nera per tutti e un berretto per il capitano. Questo, per il momento, bastava ed avanzava.
Passarono alcuni anni prima che si giungesse ad un decisivo cambiamento. Ormai il calcio stava diventando sempre di più uno sport professionistico, come testimoniavano gli echi provenienti dalla pioniera Gran Bretagna. In più, le non poche partite giocate avevano logorato le maglie della Juve, consumando il tessuto, già di per sé fragile. La proposta di sostituirle arrivò da Gordon Thomas Savage (da alcune fonti ricordato anche con il nome John), il primo giocatore straniero nella storia della Juve. La sua fu una figura abbastanza dinamica: oltre a svolgere il ruolo da mezzala nel centrocampo “rosanero”, era un piccolo imprenditore nel campo tessile e in seguito avrebbe ricoperto anche la carica di arbitro.
Dall’alto della sua esperienza in patria, Tom sosteneva che la divisa della Juve fosse completamente fuori luogo. Lo stile gli sembrava troppo poco professionale per una squadra che si stava affacciando alle prime competizioni ufficiali, il tessuto era scadente e il colore non abbastanza “mascolino”. Decise quindi di contattare un suo amico, commerciante di Nottingham, per farsi spedire delle maglie rosse come quelle del club cittadino del Forest. Allegando alla richiesta, come prova, una delle casacche juventine.
Non si sa se fu proprio quel colore rosa, sbiadito e quindi tendente al bianco, a confondere l’amico di Savage. O forse semplicemente non disponeva delle maglie del Nottingham Forrest nel suo piccolo magazzino. Qualunque sia stata la motivazione, a Torino si videro consegnare delle maglie a strisce verticali bianche e nere. Originariamente si pensò ad uno scherzo, dato che tutti si aspettavano le nuove divise fiammanti promesse da Tom. In realtà nessuno si era preso gioco di loro: semplicemente il commerciante inglese (in buonafede o meno, non si sa) aveva spedito le casacche dell’altra squadra di Nottingham, il Notts County.
All’inizio non fu facile accettare quei colori così freddi e mortificanti, ben distanti dalla vitalità giovanile insita nel carattere juventino. Ma l’imminenza del campionato lasciò spazio a pochi dubbi. E il resto è storia.
I Magpies (le Gazze, soprannome che condividono con il Newcastle), però, non sono conosciuti solo per il ruolo chiave giocato nella genesi culturale della Vecchia Signora. Il Notts è anche una delle squadre di calcio più antiche del mondo, esattamente la quinta in assoluto di cui si abbia notizia. La sua nascita è datata 1862, addirittura antecedente alla fondazione della Football Association (FA), la Federcalcio Inglese, fondata l’anno successivo. La prima squadra italiana, il Genoa, avrebbe visto la luce ben trentuno anni dopo, nel 1893.
In particolare, tenendo conto che nessuna di quelle che la precedettero (Sheffield FC, Hallam, Cray Wanderers e Worksop Town) è mai andata oltre il dilettantismo, il Notts County può essere considerato la squadra di calcio professionistico più antica del mondo.
Nei suoi primi anni di vita, la squadra non conosce una sede stabile: inizialmente, si giocò addirittura nei giardini del celeberrimo Castello di Nottingham. Altri frequenti teatri per il nuovo sport furono il Town Ground, situato sulle sponde del fiume Trent (più o meno dove sorgono gli stadi odierni) e il campo da cricket di Trent Bridge. Nel 1872, uno dei calciatori del Notts, il terzino destro Ernest Greenhalgh, partecipò alla prima partita internazionale, quella giocata all’Hamilton Crescent di Glasgow tra Scozia ed Inghilterra.
Il Notts County fu una delle 12 squadre che parteciparono alla First Division 1888-1889, la stagione inaugurale del campionato inglese. Il piazzamento non fu dei migliori (11°), ma, già due anni dopo, i Magpies avrebbero raggiunto il miglior risultato della loro lunghissima storia: il terzo posto nella massima serie della stagione 1890-1891. Un esito positivo replicato esattamente un decennio dopo, agli albori del nuovo secolo.
Il 1891 fu anche l’anno della prima finale di FA Cup per il Notts, che venne sconfitto per 3-1 all’Oval dai rivali del Blackburn, nonostante, in campionato, solo pochi giorni prima, avesse umiliato gli stessi Rovers con un sonoro 7-1. Non mancò però una seconda chance e, in quel caso, i Magpies non se la lasciarono sfuggire. L’unica FA Cup in bacheca venne vinta nel 1894 grazie ad un 4-1 sul Bolton Wanderers (con tripletta di Jimmy Logan) al Goodison Park di Liverpool. Fu un successo, a suo modo, speciale: il Notts County fu la prima squadra a vincere la coppa senza trovarsi nel contempo in massima serie, dalla quale era retrocesso l’anno precedente.
Retrocessioni e promozioni sarebbero diventate ben presto pane quotidiano per i Magpies. Primi decenni a parte (nei quali la competitività del campionato era, tutto sommato, ancora bassa), la storia del club si è sviluppata quasi sempre tra alti e bassi. Alcune volte, come ora, anche bassissimi. Discese in picchiata fino alla quarta divisione, lente risalite fino alla vetta, tentennamenti e brevi avventure hanno reso il Notts una vera e propria “squadra ascensore” del calcio inglese. O, come preferiscono chiamarlo in patria, un “Yo-yo Team“.
Dal 1910, anno in cui il club si trasferì nell’attuale stadio, il Meadow Lane, le annate si alternarono tra First e Second Division. Prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale (che bloccò tutte le competizioni ufficiali), la squadra scese persino in terza serie, nel raggruppamento meridionale. Il dopoguerra vide, però, il Notts ripartire col piede giusto: clamoroso fu l’ingaggio, nel 1947, di Tommy Lawton.
Il centravanti della nazionale inglese arrivava dal Chelsea per la cifra record di £20.000 (oggi equivalenti a £800.000 circa). I tifosi andarono in delirio: la media del pubblico sugli spalti crebbe di 10.000 unità. Fino a toccare l’apice in occasione di un match contro lo Swansea (il giorno di Santo Stefano), con 45000 presenti all’interno dell’impianto e altri diecimila rimasti fuori per l’esaurimento dei posti. Un atteggiamento encomiabile, che sicuramente contribuì alla promozione in Second Division del 1950.
Le cose, però, non andarono come previsto: dopo alcune stagioni tranquille, gravi problemi finanziari portarono di nuovo il club a cadere nel baratro. Come se non bastasse, nel 1955 arrivò anche la tragica morte del capitano Leon Leuty, malato di leucemia. Ormai la squadra, precipitata fino in quarta serie, era sul lastrico e probabilmente sarebbe fallita se non fosse arrivato l’intervento provvidenziale del politico Jack Dunnet. Costui, vero e proprio deus ex machina, saldò i debiti accumulati dalla società e diede il via al ciclo più vincente della sua storia. Venne ingaggiato l’allenatore Jimmy Sirrel, l’assistente tuttofare Jack Wheeler, e svariati giocatori. Su tutti, vengono ricordati i difensori Dave Needham e Brian Stubbs, e, soprattutto, il centrocampista scozzese Don Masson, considerato il miglior calciatore ad aver mai indossato la maglia dei Magpies.
Chiedete a qualsiasi bambino cosa sa del Notts County e vi dirà che è la squadra di calcio più vecchia del mondo. Quando avrò finito saprà molto di più.
La squadra vinse il campionato ed ottenne la promozione in Third Division nel 1971. Solamente due anni dopo raggiunse anche la seconda divisione, dove rimase (questa volta stabilmente) per otto stagioni. Nel 1981, contro ogni previsione e con la vittoria decisiva sul Chelsea a Stamford Bridge, finalmente arrivò la promozione in massima serie, dopo 56 lunghissimi anni. Quello di Sirrel era stato un capolavoro: aveva trasformato una squadra di quarta divisione sull’orlo del fallimento in una compagine capace di stupire e dire la propria perfino in First Division. Sì, stupire, perché al debutto in campionato, il Notts County si presenta al Villa Park di Birmingham e batté 1-0 i campioni in carica dell’Aston (che avrebbero vinto la Coppa dei Campioni a fine stagione).
Da quel momento, il Notts County non avrebbe mai più vissuto un periodo così intensamente positivo. L’esperienza in First Division sarebbe durata soltanto tre stagioni, prima di andare incontro ad una nuova ed inevitabile ricaduta. Ancora in terza divisione. “Chi troppo vuole, nulla stringe” dice il proverbio. E così, i Magpies, per poter toccare il cielo con un dito, si erano condannati a schiantarsi al suolo, subito dopo quell’attimo di estasi. Neanche il presidente Dunnet riuscì a gestire la situazione finanziaria e la squadra si trovò ancora una volta ad un passo dalla bancarotta.
E ancora una volta venne salvata in extremis da un intervento esterno. Non solo quello del nuovo presidente Derek Pavis, ma anche dei tifosi. Si organizzò, infatti, un’amichevole benefica con i rivali del Nottingham Forrest (in cui vennero raccolte circa £14.000) e venne istituito il Notts County Lifeline, associazione in cui i sostenitori pagavano due sterline a settimana in cambio di estrazioni a premi. Da allora, in questo modo, sono raccolte circa 100.000 sterline ogni anno!
La situazione economica migliorò e rese possibile una nuova scalata, che si concretizzò a partire dal 1989, con l’arrivo decisivo del nuovo tecnico Neil Warnock, il quale portò la squadra a due promozioni consecutive. Un doppio salto, tutto d’un fiato. Aprì le danze la vittoria dei playoff di Third Division nel 1990, con la finale, giocata a Londra il 27 maggio, in cui prevalse sul Tranmere Rovers. Quella partita sarebbe stata la prima dei famosi “Anni di Wembley” e, nella stessa occasione, nacque l’inno del club, “The Wheelbarrow”. Il 2 giugno 1991, ancora a Wembley, il Notts batteva il Brighton nella finale dei playoff e si assicurava un posto nella successiva First Division. Tra l’altro, l’ultima della storia, visto che, nel 1992, la massima serie del calcio inglese venne rinominata Premier League.
Il Notts, però, non sarebbe stato lì a festeggiare questa novità: la retrocessione, arrivata al primo colpo, gli impedì di giocare la stagione inaugurale della Premier. Un campionato che i Magpies hanno, quindi, solamente sfiorato, visto che, da quel momento in poi, non avrebbero mai più raggiunto la massima serie.
A niente valsero la Coppa Anglo-Italiana vinta nel 1995 contro l’Ascoli, con la finale giocata (indovinate un po’) a Wembley. Oppure il biennio con il tecnico Sam Allardyce (futuro C.T. della Nazionale), il quale diede l’impressione di poter ripetere le gesta di Sirrel e Warnock.
La maledizione della Premier e i limiti tecnici, ma soprattutto economici, sono stati (e sono tuttora) troppo più pesanti e determinanti della storia e del fascino. La speranza di poterli abbattere una volta per tutte era effettivamente apparsa nel 2009, quando un fondo estero aveva acquistato il club, promettendo un grande progetto. E, almeno inizialmente, mantenne la parola, visto che, alla corte di Nottingham, arrivarono nientepopodimeno che Sven-Göran Eriksson in qualità di dirigente, il portiere Kasper Schmeichel, figlio della bandiera dello United Peter (e che noi oggi conosciamo bene), ma soprattutto il fuoriclasse Sol Campbell in difesa. Non male per una squadra di quarta serie.
Sembrava un sogno. E infatti era destinato a rimanere tale. Gli investimenti si rivelarono una truffa colossale, visto che non si riuscì a pagare neanche gli stipendi. In poco meno di un anno, tutto sarebbe finito con una promozione in terza serie ma anche con tanti debiti in più. E nuovi debiti, in casa Magpies, vogliono dire solo nuovi guai, nuove retrocessioni, nuovi vortici senza fine.
Oggi il Notts County si trova addirittura in quinta serie: la retrocessione del 2018 ha determinato, per la prima volta nella sua storia, l’esclusione dal professionismo. La National League è, infatti, la prima serie dilettantistica del calcio inglese. Una caduta incredibile, quanto dolorosa. Un gigante della tradizione sportiva è ormai ridotto da anni a mangiare la polvere di compagini finanziariamente più forti. Una situazione che ha costretto la dirigenza a ritirare anche la squadra femminile, che nell’ultimo decennio aveva raccolto discreti risultati. L’ultima mazzata è arrivata ovviamente con il Covid-19, capace di fermare sul più bello la cavalcata in campionato del Notts, in procinto di riscattarsi, per l’ennesima volta.
Possibile che non si possa fare di più? Le gazze da troppo tempo patiscono la fame. E non solo la Juventus, ma il calcio intero deve molto ai Magpies di Nottingham.