Zerocinquantuno
·1 gennaio 2025
Zerocinquantuno
·1 gennaio 2025
Orfeo della Bassa
VII
Quando riprese a salire lungo quello che rimaneva della Restara, sentì annebbiarsi la vista. Non mangiava da più di un giorno e camminava a fatica. Vide scendere sul Navile una barca con baldacchino ove regnava seduta una donna con le bionde chiome spartite in bande copiose, il viso di fanciulla sotto il velo trasparente. L’avvolgeva fluente sopravveste di broccato decorato di rose rosse. E attorno a lei donne acconciate più modestamente ma di altezzosa severità. E al suo seguito barche di dignitari e ai fianchi sulle sponde del Navile armigeri alabardati che portavano la livrea col blasone dei Bentivoglio. Ma dietro ai soldati e ai servitori Orfeo vide gente tutt’affatto diversa. Trasportavano infatti padelle e tegami e paioli di rame e spingevano una barca piena di salami e mortadelle, ed erano vestiti come ricordava fosse vestito suo nonno, ed era tutto un gran ridere e vociare. Davanti però alcuni indossavano la bombetta e altri il cappello a cilindro. Le donne si riparavano dal sole con l’ombrellino. «Siete del seguito di Lucrezia Borgia?», provò a chiedere Orfeo ad un tipo robusto coi baffi a manubrio che indossava una giacchetta coi bottoni dorati, due anelle alle orecchie e un berretto piatto, e portava una cintura in vita e un fazzoletto al collo. «Chi è questa Lucrezia? – rispose in dialetto il tale – Io sono Gisto Balzani detto Zivòlla, e sono il capo della balla grossa dei facchini del Borgo di San Pietro. Siamo in gita col signor Ernesto Martelli e stiamo andando a fare una magnâza a Malalbergo. Voi signore avete per caso bisogno di aiuto?», gli chiese poi il capo dei facchini squadrandolo con curiosità da capo a piedi.
«Io sono Hybris – già gli aveva sibilato la ramaglia lungo la riva del canale –. Ma più avanti vedrai la rovina di euclidee figure». E mentre in alto oltre la boscaglia s’intravedeva il profilo di San Luca, ecco in basso i sostegni, i moli massicci e intatti. Enigmatici solchi ov’erano incardinate le porte vinciane. I tornacanale, le torri con le case di manovra. I blocchi arrugginiti delle elettropompe. L’immobile sormontare del tempo sul tempo. Il sostegno di Corticella e il ponte della Bionda, la fornace Galotti sulle fondamenta delle fabbriche etrusche. Tre sostegni e arrivò al Battiferro. Scrutò tra la foresta la mole della vecchia centrale, come indispettito e deluso dalla secca in cui versava il corso d’alimentazione. Di là dal ponte c’era la nuova cittadella universitaria, di architettura talmente moderna che gli sembrò quasi estranea. Un andirivieni di ragazzi. Tutte le lingue d’Europa si sommavano allo sciabordare della cascata. Superflua era ormai la cascata eppure i giovani erano belli e ridenti, così come il sole splendeva all’aprirsi delle nuvole. Ad un tratto riconobbe il suo antico compagno di scuola Mauro Tolomelli che istruiva una variegata scolaresca. «Cosa ci fai qui Mauro, tutto intento al girovagare di queste sponde? Sei tu diventato un sostegnarolo? Non suoni più nei concerti?», gli chiese. Mauro da ragazzo aveva fondato un complesso e suonava la batteria. Poi aveva perseguito il male necessario della scienza della chimica e s’era messo a fare il professore. «Orfeo che sorpresa! Io qui ci venivo a giocare da ragazzo, questa qui era una fornace e il resto era selva. Sono nato sul Navile, così come te sul fontanile Riola. Adesso faccio il guardiano della memoria». «Tu sei fortunato Mauro che fai una cosa importante. Noi siamo nati sulle rive di fiumi minori, ma quando la piena primaverile gialla e rabbiosa passava, limacciosa di sterpaglia e di nidi d’uccello strappati, erano il Volga e il Nilo e il Mississippi; e noi eravamo tutt’uno con l’apprensione del mondo quando, sotto precari spioventi di tegole e confortati da braci di olmo, ascoltavamo la bufera scuotere i muri, mentre il tuono si frantumava su di noi per ogni dove». Mauro è irrequieto come un grillo instancabile, è allegro come nei giorni che praticava la sua arte giovanile, è umile nelle sue competenze. «Mi hai sempre divertito Orfeo con le tue storie. Adesso mi sembri un po’ fuori di sparadello, ma se vuoi ti suono il tamburo sciamanico perché ti accompagni alla fine del tuo viaggio. Due sottopassi e sei alla Bova. Vedi là – cita scherzoso – Vincenzo Ritacca che ti aspetta».