PianetaChampions
·9 aprile 2025
❗️Pepito Rossi rivela: “Guardiola mi voleva al Barça con Messi e la Juve per il post-Del Piero! Tradito da Prandelli”

PianetaChampions
·9 aprile 2025
Fresco di addio al calcio, Pepito Rossi ha rivelato innumerevoli retroscena inerenti alla propria carriera sulle onde di Radio TV Serie A. Ecco quanto ripreso da TMW:
“Nell’estate del 2000, dopo alcuni provini in Italia, venne un osservatore a dirmi che il Parma era interessato. Mio papà mi guardò e disse “Se vuoi, prendi tutto e partiamo subito”. E’ così è stato. In due settimane con loro diventai capocannoniere del torneo, perciò mi dissero che avrebbero voluto tesserarmi. Avevo 12 anni, fu una scelta difficilissima, però avevo questa grande passione per il calcio e volevo rendere felice mio papà. Perciò dissi di sì. Come arrivò il Manchester United? Dopo un allenamento. Si presentò un vecchietto, non sapevo fosse uno scout, e mi disse: “So che sei Giuseppe Rossi, siamo molto interessati a te”. Non nominò neanche il club, mi diede una spilla con lo stemma dei Red Devils dicendo: “Dimmi quando hai tempo che andiamo a cena e parliamo del contratto”. Pensavo fosse uno scherzo, ma con mio papà chiamammo e nel giro di una cena diventai un giocatore dello United. Lì volevo guadagnarmi subito il loro rispetto e credo, nei primi mesi, di essere riuscito ad ottenerlo. Videro un ragazzo che aveva voglia di ascoltare, di far parte di una cultura totalmente diversa. Anche se voleva dire gonfiare tutte le mattine i palloni, lavare le scarpe di tutti quei campioni. Giusto fosse così, in fondo avevo solo 17 anni”.
Fiorentina-Juventus 4-2 “Non solo della carriera, è stata la più bella mezz’ora della mia vita. In quel Fiorentina-Juve capii cosa significasse quella rivalità per i fiorentini. Dopo i due gol della Juve iniziammo a sentire i primi mormorii in tribuna. Avevamo voglia di ribaltarla. di regalare gioia ai nostri tifosi. Perciò uscimmo dagli spogliatoi cercando di colpire prima, ma senza quella parata clamorosa di Neto su Marchisio, quel 3-0 ci avrebbe sfondato. Il resto è storia”.
Il Villarreal. “Il primo anno in Spagna feci 17 gol. Avevo 20 anni, volevo giocare a quei livelli e far vedere al mondo il mio talento. Così arrivò la Nazionale nell’anno dei Mondiali in Sudafrica, ma venne a mancare mio papà. Presi un mese per stare con la mia famiglia, tornai a marzo e feci due mesi di campionato. Iniziò il ritiro e il motivo per cui Lippi mi disse che non mi avrebbe portato era perché, secondo lui, a livello emotivo, non ero pronto. Avrei voluto parlargli prima della lista definitiva, dirgli che dopo la morte di mio papà avrei avuto invece un motivo in più per fare bene”.
Messi. “Mi voleva il Barcellona di Guardiola, la figura principale era ovviamente Leo Messi. Si diceva che tutti i giocatori che andavano al Barcellona passassero da lui. Non so se fosse vero, quello che so è che mi vedevano nel tridente con lui e David Villa e questo fa capire che stagione avessi fatto, quello che ero diventato. La trattativa non andò a buon fine perché il Villarreal voleva qualcosa di più a livello di fisso, più che di bonus. Saltò tutto. Avrei giocato in una delle squadre più forti della storia del calcio”.
La Juventus.. “Nella stessa estate ci fu una grande possibilità di andare alla Juventus. Mi offrirono un bel contratto, parlai con Marotta e Conte e mi dissero che mi volevano per il dopo Alex Del Piero. Ricordo che all’inizio esitai, non ero convinto del fatto che fossero tornati ad essere quella grande Juve del passato. Mi fecero un’offerta che comunque non avrei potuto rifiutare. Perciò andai dal Villarreal a dire che volevo partire, ma il club bloccò la trattativa perché avevano già fatto cessioni importanti e dissero che in Champions volevano fare bella figura. Mi dissero: questo è il contratto, dicci quanto vuoi per rimanere. Da questo punto di vista, fu un bel momento”.
Pradè e la Fiorentina. “Il direttore della Fiorentina, Daniele Pradè, è stato veramente fondamentale durante il periodo del mio infortunio perché mi feci male una seconda volta dopo cinque mesi e nessuno mi voleva. Lui invece mi chiese di vederci a New York e fu bello perché finalmente qualche squadra voleva puntare su di me. Venne, cenammo insieme e da lì capii che la Fiorentina era la destinazione giusta per continuare la mia carriera. Li ringrazio e gli devo tanto”.
Gli infortuni. “Quando ti fai male, l’infortunio ti toglie tutto. Tu sei lì, consapevole di non poter fare nulla ed è bruttissimo. Quei momenti da solo, sono i momenti più pericolosi a livello psicologico, ti fai tante domande con il “se” davanti. Quello che ho imparato in quei 1000 giorni di infortunio era di pensare meno ai se e di concentrarsi di più sugli obiettivi giornalieri che ti dai per migliorare e per andare avanti, per continuare a tenere vivo il sogno. Sono periodi bui che devi imparare ad affrontare”.
Il papà. “Mio papà era tutto per me. Mi ha lasciato un bigliettino, che ho ancora a casa, dove descrive i fondamentali del calcio. Leggerlo ti fa capire la semplicità di questo sport. Se riesci ad allenarti sui fondamentali, il calcio diventa più facile ed è quello che ho sempre cercato di fare. Credo che se i calciatori si concentrassero più su queste cose, rispetto a tante che si vedono in tv, potrebbero diventare qualcuno di importante”.
Prandelli. “Prima dell’infortunio a Firenze, stavo vivendo uno dei momenti più belli della mia carriera. Ero capocannoniere in Serie A, la Fiorentina era seconda, stavamo facendo una stagione bellissima. Poi arrivò l’infortunio a gennaio, restai fuori tre mesi e tornai per le ultime tre partite, giocando bene. Nel pre-mondiale in Brasile, Prandelli mi chiese come stessi. Gli dissi “Mister, la stupirò”. Facemmo tanti test, giocammo contro l’Irlanda, una partita che andò male, ma comunque mi sentivo sicuro di andarci ai Mondiali. Invece mi chiamò dentro lo spogliatoio per dirmi che non sarei rientrato nel gruppo finale. Ci rimasi molto male, salutai tutti velocemente, presi il primo aereo e tornai a casa. Cambiai i miei piani estivi per distrarmi e lì capii che non potevo abbattermi per le decisioni degli altri, per cose che non dipendevano da me. Ho imparato quindi a controllare le mie reazioni, ed è stata la ragione per cui ho voluto continuare gli allenamenti e continuare a giocare. Però sì, mi sentii tradito da Prandelli. Giocarti la carta di uno che magari non vedi bene al 100%, ma che ha tutto quel vissuto alle spalle, poteva essere una spinta in più per chi guardava l’Italia, oltre che per i miei compagni. Ma nulla, evidentemente lui la pensava diversamente. Ora l’ho superata, ma se ci ripenso il tradimento lo sento ancora.
Pepito e Giuseppe. “Mi fa piacere sentire tanti giocatori e allenatori dire che si sono persi uno dei migliori giocatori del calcio moderno, mi rende molto orgoglioso per tutto quello che sono riuscito a dimostrare sia in partita che in allenamento, ma anche fuori dal campo. Per me la cosa più importante è il rispetto dei compagni e dei tifosi, è quello che secondo me ti rende veramente un campione. Ho cercato di dimostrare sempre chi ero sia in campo che fuori, Pepito e Giuseppe, ed è importante distinguere due persone diverse. Spero che tanti abbiano capito che Pepito è uno serio, che aveva voglia di fare le cose per bene, di essere un professionista dal primo all’ultimo minuto. E poi Giuseppe, una persona rispettosa, per bene, con dei valori. Per un calciatore è importante regalare emozioni, significa che stai facendo le cose per bene. Si scende in campo dando tutto per la maglia, ma anche divertendosi e quando uno riesce a fare entrambe le cose, regala sempre qualcosa in più alla gente. Qualcosa che in pochi possono darti”.